Una bella botta Massimo Cialente l’ha presa di sicuro il 7 luglio, sotto l’occhio di telecamere e videofonini. A Roma il sindaco pd dell’Aquila è piombato ruzzoloni sui sanpietrini di piazza Venezia, mentre s’esercitava nella funzione istituzionale di aizzare la folla dei terremotati-delusi contro i cordoni della polizia. È finita male. Un pestone, uno spintone, e come ogni girotondo che si rispetti, tutti giù per terra. Che dolore.
Nemmeno il tempo di tirarsi su, di aspettare che sbiadissero i lividi, e il primo cittadino claudicante s’è beccato un’altra sportellata di ritorno in municipio. La porta in faccia stavolta gliel’ha sbattuta il collega di partito Francesco Valentini, consigliere comunale dell’Aquila, non uno qualsiasi visto che tre anni fa è stato il primo degli eletti in città con quasi 700 preferenze. Dopo lo spettacolo andato in onda in tutti i telegiornali, l’esponente democratico ha deciso di preparare le valigie e di abbandonare la zattera. La lettera di dimissioni assomiglia molto da vicino a una resa dei conti.
Così Cialente perde un altro pezzo, va a finire che il terremoto se l’è ritrovato in ufficio. Nervoso, isolato, gli è rimasta al fianco giusto Stefania Pezzopane - sì, proprio quella che durante il G8 della solidarietà sorrideva come al luna park, avvinghiata a Obama e sullo sfondo le macerie -. La Pezzopane è stata ripescata in giunta dopo la bocciatura alle Provinciali di marzo, perse contro l’avversario di centrodestra Antonio Del Corvo. La nomina, una settimana fa, era già costata al sindaco la reprimenda della segreteria locale di partito: «Parla di democrazia, di partecipazione e poi nella prassi si scelgono metodi poco rispettosi dello stesso partito “democratico”». Come diversivo, Cialente in queste ore stava litigando con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi («ora basta, mi ha stancato») per la storia dei 12 milioni di euro destinati a strutture sociali che l’amministrazione comunale dal maggio 2009 non avrebbe ancora deciso in che modo impiegare. Poi, l’annuncio di una querela a Giorgio Stracquadanio del Pdl per una frase detta mercoledì alla Camera. Con la promessa: «Possono anche mandarmi a casa, ma troveranno 40mila aquilani più arrabbiati di me». Come se a casa propria, Cialente, non avesse con chi discutere.
Il dimissionario Valentini insiste: «Quanti di noi si sono chiesti quali atti abbia emanato l’amministrazione comunale - mette nero su bianco il consigliere transfuga - per far fronte alla ricostruzione della nostra città, cosa abbia fatto e quali progetti sono stati portati avanti». Domandona retorica, ecco la risposta: «Nessuno!». Piuttosto, nel clima di veleni, torna in mente lo scandalo dell’ospitalità ricevuta nel dopo terremoto in un residence extra-lusso dal battagliero Massimo e una trentina di familiari, mentre a pochi chilometri di distanza i concittadini dormivano in tendopoli.
Normale dialettica tra compagni coltelli, si dirà. Infatti è solo un buffetto sulla guancia se paragonato allo sganassone che arriva qualche riga più avanti. «Al di là della richiesta di sospensione del pagamento delle tasse (peraltro già approvata dal governo in anticipo sui tafferugli nella capitale, ndr), di innumerevoli parole gettate al vento e di una strabiliante protesta consistita addirittura nel “ripiegamento” della fascia, il nostro sindaco non ha posto in essere alcuna azione diretta ad alleviare i problemi degli aquilani». Par di sentire in sottofondo scazzottate alla Bud Spencer e Terence Hill. Picchia duro Valentini: «Non v’è stata da parte del primo cittadino neanche la modestia e la furbizia di contornarsi di persone competenti. Tutte le nomine degli assessori sono state frutto di veri e propri ricatti politici accettati passivamente da colui che avrebbe dovuto essere la guida per la città...». Conclusione, «credo francamente che questa amministrazione non solo non abbia futuro, ma non abbia neanche una ragion d’essere». Tradotto: caro Cialente, d’ora in avanti tira avanti la carriola, pardon la carretta, per conto tuo. Con tanti saluti, tanto duri poco.
A ogni modo lo sfogo del consigliere ormai due volte ex, dai Ds al Pd, non resta confinato in Abruzzo. I colpi arrivano più in alto, ben sopra la cintola, ovvero direttamente sul muso di Pier Luigi Bersani e, assieme a lui, alla sfilza di leader della sinistra. «Anche gli uomini di vertice del Pd» ubbidiscono a «mentalità e struttura staliniste».
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