Il Grande Comunicatore non ha mai fatto un master in marketing, tuttalpiù sul suo quadernetto potrete trovare qualche scarabocchio su ripartenze e diagonali, ma mai un grafico sull’andamento degli indici di gradimento mediatico. Perché quelli sono sempre al rialzo quando parla José Mourinho, il Genio che da nove mesi ci tiene incollati alla tv e intanto la sua squadra per ora va, nascosta dietro di lui.
Anche martedì il Grande comunicatore ci ha preso tutti per il naso con quei 7 minuti di prostituzione intellettuale, nel senso che come al solito ci ha venduto roba buona e noi ci siamo cascati. Guardate i giornali di ieri: prime pagine e non solo piene di appunti di noi giornalisti, quelli che prima lo avevamo in simpatia ma che adesso che ci ha messi nel calderone, lo guardiamo tutti (o quasi) un po’ così. C’è chi dice che adesso ha esagerato, chi tira fuori dagli armadi Lenin e il leninismo di Mister José, chi gli appiccica il ruolo di Sgarbi della panchina. E lui, che dopo quei 7 minuti se n’era andato via con quel viso imbronciato che sa mettere su nelle occasioni importanti, dietro il paravento se la rideva già un secondo dopo, perché sapeva cosa sarebbe accaduto.
E in fondo sono mesi che va così, a cominciare da quel «lavorare con me sarà divertente» detto ai giornalisti il 4 giugno, il giorno del «non sono mica un pirla», che era tutto un programma: era vero, e lo è ancor di più adesso. L’errore però è di pensare che sia tutto studiato ad arte solo per noi italiani: di quanto succedeva Oltremanica infatti vi diamo un piccolo assaggio qui accanto, il resto lo potrete trovare su YouTube. E ciò che succedeva quando era sulla panchina del Chelsea è la dimostrazione è che José Mourinho è proprio così, un terribile arrogante per qualcuno, più semplicemente un Genio della comunicazione, perché per dire frasi come «Dio e dopo di lui io» oppure «io non sono il migliore ma non c’è nessuno meglio di me» non ci sono corsi accademici che tengono: bisogna sentirselo dentro. E José se lo sente, eccome.
Pensateci: prima di lui il calcio era tutto uno «scudetto? il campionato è ancora lungo... », detto da chi magari aveva già venti punti vantaggio sulla seconda a dieci giornate dalla fine. E pure dei bei «tutte le avversarie sono da prendere con le molle», «non possiamo sottovalutare tizio e caio», «ogni partita è dura». José invece non è così: ti dice già adesso che Roma e Milan non vinceranno nulla, ma soprattutto che vincerà lui, come ha sempre fatto finora, perché la storia non può cambiare. E soprattutto: perché non può cambiare lui. «Di sicuro l’Italia non lo farà» ha detto fin da subito. Ci aveva avvertiti.
Certo, prima di lui uno scossone l’aveva già dato Roberto Mancini, due scudetti più uno gridati in faccia a tutti. Ma lui era solo l’Antipatico, Mourinho invece appunto è l’Arrogante, l’uomo dopo il quale non si parla più dei bicchieri di Adriano, delle sciocchezze giovanili di Balotelli o delle sfuriate di Ibrahimovic. Sì, certo, se ne parla: ma perché ne parla lui. E il soggetto è uno solo: Mourinho.
Ed è così che l’unica verità, cioè che quest’anno l’Inter gioca peggio anche se vince lo stesso, diventa un corollario quasi ininfluente: nessuno se ne interessa, perché c’è da attendere il giorno prima della partita, il giorno in cui il Genio farà il suo show, il giorno in cui le redazioni sanno sempre cosa mettere in pagina. E l’Inter? L’Inter - si diceva - va: tutti uniti, dirigenti e giocatori, campioni e no, contenti e arrabbiati.
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