Il diritto di criticare Biagi in tv

Pietro Mancini

Il nuovo Consiglio di amministrazione della Rai non può e non deve ritenere prioritario il ritorno in video di Enzo Biagi, auspicato da ampi settori del centrosinistra, che non si stancano di teorizzare la necessità di opporsi al feroce «regime» mediatico del Cavaliere.
Liberissimo l'anziano editorialista di atteggiarsi a vittima di Silvio Berlusconi, che si è permesso di confutare la versione, non veritiera, dell'episodio di Bolzano, commentato, domenica scorsa, sul Corriere della Sera. Altrettanto liberi coloro che, senza poter essere ritenute persone disposte a prendere ordini dal premier, pensano che Biagi non possa essere additato come il martire di una presunta, spietata epurazione, eseguita a Saxa Rubra e a viale Mazzini.
Soprattutto perché ricordano, ma non rimpiangono, le ultime apparizioni, sugli schermi della Tv pubblica, dell'autorevole collega emiliano. In primis, quella in tandem con Roberto Benigni, quando, tre giorni prima delle elezioni politiche del 2001, il comico, incalzato (si fa per dire...) dall'intervistatore, proclamò, con serena obiettività: «Intendo essere equidistante: Berlusconi non mi piace, Rutelli sì!». E, forse, al di là della difesa d'ufficio di Biagi, il leader della Margherita, che si sta sforzando, con la sua sfida a Prodinotti, di accreditare il centrosinistra come una coalizione moderata e riflessiva, che boccia le visioni apocalittiche, anche sui temi dell'informazione, dovrebbe prendere le distanze dai settori dell'Unione, intenzionati a riaffidarsi, come nell'era Zaccaria-Santoro, ai campioni della Tv e del giornalismo «resistente».
Perché Rutelli non chiede a sua moglie, Barbara Palombelli, che del Corriere è un'apprezzata firma, se la signora condivida, nei toni e nella sostanza, lo sgangherato articolo anti-Berlusconi, firmato domenica scorsa dal decano della categoria?
A parte le citazioni, da lustri sempre piattamente identiche, di Nenni, Togliatti e De Gasperi, per le quali Biagi fu bacchettato da Piero Ostellino, ex direttore del Corriere della Sera, la Palombelli, che ha sempre difeso i diritti delle donne, non trova che sia stato disdicevole il modo in cui l'attempato giornalista ha liquidato, definendola tout court una «biondona», la coordinatrice di Forza Italia a Bolzano, Michaela Biancofiore?
Oppure le femministe di sinistra, che giustamente hanno redarguito Ciriaco De Mita per aver brutalmente zittito, in una recente riunione della Margherita, la senatrice Cinzia Dato, ritengono che Biagi abbia fatto bene a descrivere la Biancofiore quasi come una «velina», ricorrendo a un'espressione che la dirigente azzurra ha considerato, non a torto, «triviale e qualunquista»?
E, dal momento che i migliori giudici dei giornalisti non sono i politici, ma i lettori, il direttore dell'Unità, Antonio Padellaro, ripubblicando in prima pagina l'invettiva di Biagi, pur viziata da evidenti errori e inficiata dall'eccessivo astio dell'autore contro Berlusconi, non ha fornito un esempio di informazione corretta ed equilibrata.
Ma ha, unicamente, inteso usare il discusso articolo come una clava, sperando che l'Unione la brandisca contro l'odiato leader della Casa delle libertà.

Ma quella dei linciaggi a mezzo stampa, delle forzature strumentali, della manipolazione delle notizie, del tifo per la Tv faziosa è una strada che tutti dovrebbero evitare di percorrere, dimostrando di non aver già dimenticato gli appelli di Ciampi al pluralismo nell'informazione e al giornalismo oggettivo, imparziale e attento alle notizie, che non sono né di destra né di sinistra.

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