Politica

Divisi alla meta

Nonostante la tragedia mediorientale con i suoi tanti morti tra vecchi, donne e bambini, il dibattito sulla politica italiana tiene ancora campo. Leader veri o presunti, parlamentari di varia ispirazione e politologi autorevoli come Giovanni Sartori non staccano gli occhi da un governo in affanno che negli ultimi trenta giorni ha posto per ben quattro volte il voto di fiducia. Sulla politica estera e su quella economica e, cioè, di fatto su tutto. Contro il generale agosto che avanza ma anche, e forse soprattutto, contro i propri gruppi parlamentari percorsi da divisioni quantitativamente modeste che grazie alla risicata maggioranza parlamentare possono avere effetti devastanti. Nessuno scandalo, naturalmente, a condizione che vicende come quelle viste in questi giorni non diventino la norma.
E intanto tutti gli osservatori più o meno interessati fermano la propria attenzione sul governo. Cadrà, non cadrà, forse sì, forse no. E di lì tutto uno sciorinare di ipotesi di maggioranze allargabili ma non troppo, estensibili sì, ma con prudenza nel mentre viene evocata come salvifica la grande alleanza. E giù l’anatema contro chi dovesse, in solitudine, cambiare idea. Su alcuni provvedimenti o sul piano più generale delle alleanze politiche. La modestia delle classi dirigenti in ogni tempo ha due nemici giurati, il libero pensiero politico e l’interesse generale del Paese nel mentre osanna in maniera quasi religiosa valori come la fedeltà e la compattezza. Ma fedeltà a chi e a che cosa? E qui veniamo al cuore della nostra crisi politica.
L’Italia è l’unica democrazia occidentale in cui non vengono votati, in cabina elettorale, solo i partiti ma anche le loro alleanze. Di qui il richiamo alla fedeltà del voto popolare e la trasformazione di alleanze politiche transitorie in legami eterni e senza speranza. In ogni democrazia è nel Parlamento nazionale che si decidono le alleanze mentre in campagna elettorale i partiti le annunciano. Così accade dovunque mentre in Italia un filo sottilissimo in questi anni ha legato una parte della sinistra con parte della destra nel diabolico disegno di un bipolarismo elettorale che consente alle due estreme di signoreggiare ciascuna nella propria coalizione, dividendo l’Italia a metà, mettendo steccati e cavalli di frisia sul terreno politico e coltivando insulti e criminalizzazione degli avversari. Ed è così che è tramontata la politica e che si è avviato il Paese verso il definitivo disastro.
Cosa lega in via permanente la sinistra comunista a Di Pietro o alla Rosa nel Pugno o, dall’altro lato, Alleanza nazionale alla Lega o a Forza Italia fino al punto di non poter discutere in un Parlamento libero alleanze diverse e più utili al Paese? Nulla, se non il disegno di potere dei gruppi dirigenti di destra e di sinistra. E cosa impedisce la fusione dei due partiti comunisti e la ricomposizione di una sinistra socialista di stampo europeo o, sull’altro versante, una riunificazione delle forze che si riconoscono nel Partito popolare europeo? Nulla se non l’incubo della destra e della sinistra di perdere la propria posizione di «signoria» nelle due coalizioni, nel mentre i gruppi dirigenti centristi sembrano quasi impauriti nel percorrere la strada della propria riunificazione. Chi oggi, tra politologi e giornalisti di fama, propugna la grande coalizione mantenendo intatti i recinti dei due Poli, fa solo diventare il proprio desiderio padrone della ragione di tutti. E naturalmente non va da nessuna parte. Sono gli stessi che, non volendo la scomposizione dei Poli, ipotizzano il fantomatico Partito democratico e l’altrettanto fumoso partito unico dei moderati. Su questa strada, purtroppo, l’Italia si perderà definitivamente.
Mai come oggi, infatti, non c’è stabilità di governo al di fuori di un profondo riassetto dell’intera politica italiana.

E non c’è trasformazione della politica senza che vengano restituite al Parlamento le proprie libertà sottraendolo dai ricorrenti voti di fiducia del governo e dai minacciosi quanto ridicoli richiami alla compattezza dei vari leader politici che confondono libertà con trasformismo e fedeltà con moralità politica.

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