Anitona è sola, ferma, povera, dimenticata, si muove su una sedia a rotelle, in una casa di riposo di Genzano. Non ha più riflettori che illuminano l'onda bionda dei suoi capelli, fontana di Trevi è un alveare schiumoso e vociante di gente sconosciuta, Marcello e Federico stanno altrove a raccontarsi memorie gaudenti. Lei tenta di resistere ma il film della sua vita non ha più storia, ormai soltanto cronaca e miserabile. Anita Ekberg convive con altri inquilini senza volto, senza copione.
L'Italia aveva amato, sognato, desiderato questa bambola di sesso e di «sana» follia, poi, buttata via, come fosse una marionetta con un braccio rotto, le ciglia strappate, le palpebre chiuse. Anita Ekberg sopravvive, la sua non può chiamarsi vita come era quella dolce, ubriaca di piacere, di luce, di giorni senza fine. La dolce vita la rese famosa nei cinematografi e nei sogni di molti in un'epoca d'oro per l'Italia, Federico Fellini la volle così, bellissima e statuaria, inquietante, sontuosa. Fu l'inizio. E insieme, la conclusione.
Anni lontani, un secolo passato, passati anche i suoi uomini ufficiali, due mariti, i suoi amori clamorosi, The Voice e l'Avvocato, Sinatra e Agnelli, il primo la chiese in sposa, inutilmente, il secondo la strapazzò come un'utilitaria: «Tu non ama me, tu maiale italiano, io non ti ama più»; notti di fuoco che scorrono nella sua memoria come, nel buio, le luci di un treno che passa veloce dinanzi agli occhi. La dolce vita non è nemmeno una vita dolce, Anita Ekberg non ha più paparazzi che la inseguono, amanti imprevedibili e genuflessi, lettere appassionate, fasci di rose, profumi e monili; le ultime fotografie ritraggono una donna antica, spenta, lo sguardo acquoso, i capelli di paglia, la pesantezza di un corpo e di una esistenza che non hanno più la freschezza e la forza di quell'immagine nella fontana di Roma. Le hanno incendiato la casa di Genzano, le hanno rubato i gioielli, il film è cattivo, il finale non previsto.
Anitona è Anitina, ridotta, quasi ranicchiata, chiede aiuto alla Fondazione Fellini, un cognome che non ha sostanza, un sogno che non si fa realtà. Non ci sono soldi dentro quell'ìstituzione ma soltanto l'amarcord di un'idea, di un progetto. Con Federico se ne sono andati i sogni, la pellicola si è rotta, qualche apparizione televisiva, malinconica, anche straziante, ha aperto altre ferite perché la leggenda, il mito non può avere età, non deve conoscere il declino. Andrebbe rapita in cielo come accadde con Marylin, bellissima allora e bellissima oggi perché non ne abbiamo conosciuto e visto, il tramonto.
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