Un dongiovanni fedele a tutte ma non alla politica

Ebbe molte amanti, ma in fondo fu un uomo molto solo. Mussoliniano, non fascista, dopo una vita passata a combattere i comunisti, alla fine fu adottato dalla sinistra

Fu attorniato da amanti, ma restò nell’intimo un uomo solo. Ebbe tre mogli, ma fuggì come la peste gli obblighi domestici, preferendo vivere da scapolo, quasi da eremita. Fu fervente anticomunista e liberale, ma poi affiancò la sinistra e combatté sdegnosamente la destra. A chi gli dava dell’incoerente, replicava di obbedire a una superiore moralità. Infatti, il suo metro di misura era soltanto lui.
La «fidanzata» più illustre del Nostro fu la principessa, poi regina, Maria José di Savoia. I due si conobbero a Cortina. La nobildonna era già sposata con Umberto, ma il matrimonio zoppicava. «Era bellissima, devi credermi!», confidò il dongiovanni molti anni dopo, raccontando per la prima volta l’avventura a un amico. La storia era cominciata come una frequentazione di villeggiatura tra persone del jet set. Lui era un bel giovane, alto e biondo. Lei, una donna un po’ annoiata, che si guardava attorno. Lo scorse nel bar dell’Hotel Miramonti all’ora dell’aperitivo. Saputo chi fosse, lo cooptò tra gli adepti della sua piccola corte. Tra una conversazione e l’altra, nei giorni successivi Maria José sferrò l’attacco. Piantò i suoi occhi chiari in quelli azzurri del giovanotto e disse perentoria: «Non veda in me solo la principessa, veda in me anche la donna». Non ci furono né scandalo, né code, per la perfetta discrezione di entrambi.
Come amante, il Nostro non era di primo pelo. Aveva già avuto un figlio che vide una sola volta. Le cose andarono così. Stava entrando nel suo ufficio di Milano, quando gli si parò davanti una giovane donna che teneva un bebè in braccio. Era Ethel, una aristocratica irlandese conosciuta l’anno prima a Londra. «Il bimbo è tuo», gli disse lei. Il giovane ebbe un brivido. Sui figli aveva una teoria: «Non farne, perché non puoi sapere chi ti metti in casa». Ma la signora aggiunse subito che non chiedeva niente per sé e che avrebbe mantenuto il figlio, a patto però che lo riconoscesse. Sollevato, il ventottenne, che era un galantuomo, firmò tutto quanto c’era da firmare per dare il cognome al piccino. Poi li accomiatò entrambi per sempre e sulla faccenda tacque con tutti fino a tarda età. Inutile dilungarsi sulle altre amanti. Ne ebbe a iosa, nobildonne e soubrette, qualche giornalista e una Edith Piaf rumena degli anni Trenta, Maria Tanase.
C’è poi il capitolo delle mogli. Il Nostro aveva origini provinciali. La cittaduzza in cui nacque era la quintessenza dello strapaese. In pieno ’900, era ancora divisa come guelfi e ghibellini tra gli insuesi, che abitavano la parte alta, e gli ingiuesi del piano, separati da rancori profondi. Il suo imperativo fu, perciò, cambiare aria. Viaggiò molto nei vari continenti. Trovandosi volontario a guerreggiare dalle parti della Dancalia, provò il suo primo prurito matrimoniale. Vide una bellissima quattordicenne e, seguendo gli usi locali, la comprò in cambio di un cavallo. Si credé innamorato e la sposò. La convivenza durò quanto la guerra esotica e poi della fanciulletta gli rimase solo un bel ritratto che tenne nel suo studio per il resto della vita. La seconda moglie fu, Maggie, una nobile austriaca dal cognome francese, de Colins de Tarsienne. Si videro poco, distratti dai reciproci impegni. Ebbero però un’esperienza comune che li unì al dilà dell’amore. Furono tutti e due imprigionati dai nazisti. Lei condannata a 30 anni e lui alla pena capitale, prima di essere fortunosamente graziati. La terza moglie fu una alto borghese di Losanna che faceva il suo stesso mestiere e lo eguagliava quasi per talento. Il legame durò tutta la vita, grazie all’accorgimento di abitare a 600 chilometri di distanza.
Questo fu il nostro uomo sul versante delle donne. Politicamente invece, è stato per lungo tempo il simbolo italiano del borghese anticomunista. In precedenza più che fascista, fu mussoliniano. Credeva nell’obiettivo che il romagnolo si era dato di fare gli italiani. Il Nostro era, infatti, tutt’altro che estimatore dei connazionali. Li credeva, come Prezzolini, spartiti tra furbi, largamente maggioritari, e fessi, dei quali si sentiva parte per avere dei principi. Disse di sé: «Borghese fino al midollo ho combattuto molte battaglie in difesa delle tradizioni borghesi. Ma mentre io difendevo le idee, i borghesi difendevano l’argenteria». Già deluso dal Duce mentre era in auge, si disamorò definitivamente quando vide come mandava le truppe allo sbaraglio nel Secondo conflitto. Tuttavia, non aderì mai all’antifascismo monopolizzato dai comunisti che furono la sua bestia nera nel dopoguerra.
Nello studio, aveva un piccolo busto di Stalin. Lo teneva per gratitudine, come diceva cinicamente, per essere stato «l’uomo che ha fatto fuori più comunisti di chiunque altro». Negli anni ’50, propose agli Usa di finanziare una struttura segreta paramilitare per bloccare il Pci nel caso di una sua vittoria elettorale.

L’iniziativa languì, ma pose le basi della celebre Gladio di cui il Nostro fu, perciò, il padre spirituale. Poi di colpo, ultraottantenne, si ritrovò adottato dalla sinistra, per una faccenda personale. E chiuse tra i conformisti una vita da intemerato bastian contrario.
Chi era?

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