Cultura e Spettacoli

La donna vera insegue l’amore fino a «Laggiù»

«No Woman’s Land», buon esordio narrativo della poetessa Marianne Costa

«Ciò che è più sexy in un uomo è la sua anima», sostiene tutta seria Marianne Costa, senza tradire sarcasmo, delusioni o intenzioni di astinenza. E non è chiaro se intenda far valere lo stesso per le donne. Chiaramente, però, pretende di farsi definire un écrivain, «uno scrittore»: non già per ambizioni letterarie, bensì per una lessicale preferenza al femminile une écrivaine, «una scrittrice», che non ama sentirsi attribuire.
Non altri che lei, pertanto, poteva entrare in quel No woman’s land che, nel titolo del suo romanzo d’esordio (rimasto in originale anche nella traduzione italiana eseguita da Lidia Campagnano e appena uscita da Giunti, pagg. 350, euro 9,50), al femminile declina il nome inglese della Terra di nessuno, puntualizzando che davvero non si tratta di terreno per signore. Un écrivain come Marianne, invece, si arrischia - a buon titolo, e rispettando il divieto del titolo - a entrarci due volte. Da «scrittore» che apre la rotta e taglia la pista per far strada al suo lettore. E da autobiografica protagonista che sul campo minato porta con sé la propria controfigura: Alice, l’eroina della storia che in tutto e per tutto le assomiglia. La dama che si muove dentro i veli delle pagine, infatti, è - come l’altra che in quei veli si (mal)cela - un’attrice francese che, malata di musica rock, sedotta dalla simbologia dei tarocchi, incantata dalla malia delle lingue straniere, a uno straniero di fascino torbido e malioso - un tale Drog che viene da «Laggiù» dove infuriano venti di guerra - cederà per amore, al punto da imparare la sua lingua, combattere la sua guerra, buttarsi nelle vesti di assistente psicoterapeuta (c’è camice più sexy di quello del medico che cura l’anima?) in una spericolata avventura nella sua terra.
Terra di nessuno, No (wo)man’s land o Wonderland? Perché confina con il Paese delle Meraviglie il paese in cui Alice è precipitata - come la sua omonima lewiscarrolliana giù per la tana del Bianconiglio - passando attraverso lo specchio dell’anima. Ma tutti i trucchi si svelano (senza svanire) se davanti allo specchio ci si mette in carne e ossa Marianne Costa: perché ci guardi diritto senza caderci dentro. Ecco allora quel che nudamente appare di lei e che il lettore voyeur, in trasparenza, nel suo romanzo può intravedere. L’ex cantante rock che, ventenne, alla fine degli anni Ottanta intonava le hit di gruppi come «Les sales Bêtes» o gli «Olive Oil». L’ex attrice che, sulle orme della mamma commediante, calcò qualche passo sulle scene teatrali per poi tentare anche la via del cinema (con Jacques Baratier, sul set di Rien voilà l’ordre, per esempio). La giovane inquieta, avida di entusiasmi, esagitata che, caduta adolescente in depressione ne uscì in dieci anni di sedute (e di letture) psicanalitiche. La linguista e poliglotta che, laureata in letterature comparate, traduttrice di narrativa (contando le sue oltre cento versioni di titoli Harlequin può ben dirsi «un operaio specializzato del romanzo sentimentale») si è imparata da zero il serbo-croato dopo aver incontrato nel 1994 soldati bosniaci giovani e mutilati ed è partita volontaria per Sarajevo come docente di francese.
Laggiù - e che l’avverbio resti maiuscolo perché è riconoscibilmente la ex Jugoslavia la No woman’s land dove Drog trascina l’Alice del suo romanzo -, a Sarajevo, dalla fine della guerra continua a collaborare con le attività culturali del Centre André Malraux. Non è tutto. L’artista che, a quarant’anni scarsi si permette di esibire senza veli davanti allo specchio il proprio passato, non riesce a farci entrare - per quanto «meravigliosamente» e lewiscarrollianamente profondo - tutto il suo profilo. Fuori dalla finzione narrativa resta la prova poetica precedente il narrativo debutto: una raccolta di versi - Pin-Up chrysalide - uscita in Francia nella stessa collana che accoglie Fernando Arrabal, Lawrence Ferlinghetti e Alejandro Jodorowsky. Ma con il poeta cineasta cileno Marianne convive anche fuori del catalogo editoriale di Maëlstrom & Le Veilleur: quando lei e «Le grand Jodo» - oggi suo compagno - si conobbero a Parigi nel ’97 durante una conferenza sui tarocchi fu un vero incontro di anime, unite dalla passione per la ricerca iniziatica attraverso le carte.

I due hanno anche scritto un libro assieme: La voie du tarot, une architecture de l’âme che, di prossima traduzione italiana, annuncia, stando al titolo, sensuali indiscrezioni su una misterica, e «animica», intimità coniugale.

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