La foto fiscale dell’Italia è presto scattata: su 60 milioni di cittadini, bambini compresi, 30 milioni non sanno cosa voglia dire pagare un euro di imposta. Quando siete per strada, andate al supermercato, sappiate che il vostro vicino con buone probabilità non ha contatti con il fisco. Beato lui. Ma poveri voi.
Le frustrazioni non si fermano certo qui. Se per sbaglio il vostro occasionale e involontario compagno di riflessioni fiscali dovesse essere in effetti sfiorato dall’attenzione del fisco, sappiate che le premure tributarie saranno, per lo stesso, decisamente delicate. Un contribuente su tre dichiara meno di 15mila euro l’anno di redditi personali e dunque l’indulgenza del nostro leviatano è nei suoi confronti massima. D’altronde l’abbiamo scritto anche nella Costituzione, la progressività dell’imposta è sacra: in buona sostanza tassare poco (anche in percentuale) chi ha poco e colpire duro (anche in percentuale) chi ha molto. I signori della Costituzione saranno contenti: le statistiche fiscali ci dicono non solo che il nostro vicino paga (con buona probabilità) nulla o quasi nulla, ma soprattutto che il nostro reddito viene sempre più redistribuito. Gli economisti lo chiamano l’indice di Gini (non del Gino, cioè di chi paga le imposte). Quei pochi insomma che sopportano il peso del fisco si sono fatti carico con le dichiarazioni del 2008, riferite al 2007 (quando si dice la tempestività delle statistiche pubbliche), di contribuire per 140 miliardi di euro alle spese della nostra pubblica amministrazione. La procedura è la seguente: in pochi pagano le imposte, quei pochi contribuiscono a livellare in basso i redditi netti degli italiani, e forniscono circa un terzo delle entrate tributarie dell’intero Paese.
Insomma, degli eroi. Forse più che eroi, epigoni di Ulisse che solo perché incatenato alla sua barca resta immune al canto delle sirene. Ma tant’è: una piccola pattuglia di italiani paga per tutti.
Le statistiche che il Tesoro ha fornito ieri, ci svelano qualche altro dato interessante. Tra quei pochi che dichiarano un reddito decente, ci sono i lavoratori autonomi. Sì, avete capito bene: quelli che vengono sempre definiti evasori fiscali. Basti un solo banale numeretto. In Italia sono in pochissimi a dichiarare più di 200mila euro di reddito. Ebbene, la maggioranza di questi «ricconi» sono proprio i lavoratori autonomi. Non basta. Nord Ovest e Nord Est, nell’ordine, restano di gran lunga le due aree del Paese in cui l’imposta media è più alta.
Ognuno insomma la storia delle tasse se la può raccontare come vuole: d’altronde le statistiche servono un po’ anche a questo. Ma c’è una serie di dati di fondo che, indipendentemente dalle statistiche e dalla loro interpretazione, dobbiamo tener presenti.
1. La geografia delle nostre imposte sul reddito, sia nella sua distribuzione sia nella sua composizione, scatta una foto dell’Italia deformata. Continuare a pensare di «recuperare fisco» modificando ed elaborando questa foto è una scemenza. Non si può certamente aumentare la tassazione per chi ha poco, ma non si può esagerare su chi ha tanto, che già contribuisce in buona parte a tenere in piedi la pubblica amministrazione.
2. Quella minoranza di italiani che paga le imposte sul reddito è doppiamente beffata. La prima volta dalla progressività implicita nel nostro sistema che sta aumentando.
La seconda dalla tendenza della pubblica amministrazione di farsi pagare i servizi che eroga (dalla sanità all’istruzione) in funzione proprio del reddito dichiarato. In tal guisa esasperando ancora più la progressività e i contribuenti.