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Il dramma dei divorziati: esclusi dalla comunione Sei d'accordo? VOTA

Sono centinaia di migliaia i fedeli che non possono ricevere l'eucarestia perché si sono risposati, Ratzinger: "Il problema ora va approfondito". Sei d'accordo? Vota il sondaggio

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Quando Silvio Berlusconi si accosta alla comunione, magari sotto l’occhio di qualche telecamera, la polemica è assicurata. Il Cavaliere lo ha fatto anche due giorni fa, durante i funerali di Matteo Miotto, l’alpino ucciso in Afghanistan, e L’Unità di ieri l’ha notato, seppur sommessamente, con un trafiletto, nel quale si leggeva: «Alla fine il premier con un guizzo va davanti al sacerdote che gli dà l’ostia, nonostante sia divorziato e quindi, per la Chiesa, “macchiato dal peccato”».

Una polemica ben più grande era stata sollevata nell’aprile 2010, in occasione dei funerali di Raimondo Vianello. Anche quella volta Berlusconi fece la comunione e il filmato che lo ritrae mentre riceve la particola è ancora scaricabile sul sito di Famiglia Cristiana. Il settimanale dei Paolini scrisse delle proteste di numerosissimi lettori i quali chiedevano «come mai un noto divorziato risposato» potesse accedere ai sacramenti e fece commentare l’accaduto al teologo don Silvano Sirboni. Quest’ultimo, pur lamentando la spettacolarizzazione del gesto, riconobbe, a norma di diritto canonico, che stava alla coscienza del fedele giudicare se avesse o no le disposizioni interiori richieste per fare la comunione, spiegando che non spettava al sacerdote impedire il gesto, «a meno che la persona in questione non sia scomunicata o interdetta con pubblica sentenza».
Il teologo precisò pure che «dal punto di vista formale, cioè secondo un’interpretazione strettamente giuridica delle norme canoniche che riguardano la situazione coniugale», a Berlusconi era «concesso di accostarsi alla mensa eucaristica», in quanto sì divorziato e in attesa di un secondo divorzio, «ma giuridicamente è al momento un semplice separato e non convivente».

Al di là delle chiarificazioni, resta invece aperto il problema. Un problema che non riguarda soltanto alcuni leader politici con più di un matrimonio alle spalle, ma centinaia di migliaia di persone, le quali vorrebbero accostarsi al sacramento dell’eucaristia ma non possono farlo perché vivono in situazioni irregolari. Talvolta si rischiano generalizzazioni, come quella di pensare che i divorziati siano in quanto tali esclusi dalla comunione. Non è vero. Lo sono soltanto i divorziati che essendosi sposati in chiesa la prima volta, hanno contratto dopo la separazione un nuovo matrimonio civile oppure convivono stabilmente con un nuovo compagno o compagna.
Pur essendo la prassi dell’esclusione molto antica, ancora nei primi anni Settanta, la Congregazione per la dottrina della fede ammetteva la «probata praxis in foro interno», cioè l’ammissione ai sacramenti per scelta di coscienza approvata dal confessore. Le rigorose norme attuali risalgono all’esortazione apostolica «Familiaris Consortio», di Giovanni Paolo II (1981) e sono state ribadite da Benedetto XVI nella «Sacramentum Caritatis» (2007). Papa Ratzinger, che più di una volta ha mostrato attenzione al problema, raccogliendo le indicazioni emerse dal Sinodo dei vescovi definisce «situazioni dolorose» quelle «in cui si trovano non pochi fedeli che, dopo aver celebrato il sacramento del matrimonio, hanno divorziato e contratto nuove nozze». Un problema pastorale «spinoso e complesso, una vera piaga dell’odierno contesto sociale che intacca in misura crescente gli stessi ambienti cattolici». Ma ribadisce la prassi della Chiesa, «fondata sulla Sacra Scrittura», di non ammettere ai sacramenti i divorziati risposati. Ratzinger invita comunque i divorziati risposati, «nonostante la loro situazione», ad appartenere alla Chiesa, «che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione» alla messa.

Poco dopo l’elezione, nel luglio 2005, dialogando con i sacerdoti in Valle d’Aosta, Benedetto XVI ammise che «il problema» sul quale «nessuno di noi ha una ricetta fatta», è «molto difficile e deve essere ancora

approfondito»: «Da una parte dobbiamo rispettare l’inscindibilità del sacramento» del matrimonio e dall’altra si deve fare sentire «che amiamo queste persone che soffrono anche per noi. E noi dobbiamo anche soffrire con loro».

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