DUE MILIARDI DAVANTI ALLA TV

Trentadue anni dopo. Con trentadue nazioni in campo. La coppa del mondo Fifa torna in Germania con una storia diversa, in un mondo stravolto da guerre e scandali ma, quasi improvvisamente, riunito, sognante, romantico, rabbioso, rapito dinanzi al televisore. Due miliardi di persone, forse di più, dovunque, sulle isole Far Oer o al centro di New York, assisteranno assieme, oggi, all’apertura dei giochi del pallone.
Trentadue anni dopo è un altro mondiale, è un altro mondo. La Germania non è più divisa come nel ’74 quando la realpolitik mise di fronte le due nazionali e a vincere fu la Repubblica democratica. L’euro ha sostituito il marco, le squadre da sedici sono diventate trentadue, il barile di petrolio ha raggiunto prezzi impagabili, già allora era gonfio e fu austerity, le domeniche a piedi, la chiusura anticipata degli spettacoli, l’inflazione al 19 e 4 per cento. Il calcio indossava ancora un abito datato, si poteva passare il pallone al portiere, l’arbitro non disponeva dei cartellini giallo e rosso, lo sponsor era un fenomeno marginale ma l’Olanda del figlio della lavandaia dell’Ajax, al secolo Johann Cruyff, svoltò, i tulipani si portarono appresso mogli e fidanzate, esigevano denari per rilasciare le interviste, fumavano cannabis e portavano zazzere e barbe. Fu la moda arancione. Trentadue anni dopo non c’è più nulla di quel mondiale, di quel mondo. Sepp Blatter chiede che i campionati nazionali riducano a diciotto il numero delle partecipanti ma intanto ha gonfiato a trentadue le nazioni che si giocano la coppa Fifa, al termine di una stagione già tossica e intossicata. Basta controllare l’elenco degli infortunati, di qualunque squadra, per capire che questo torneo, con questa formula così ampia, con una durata così lunga, un mese, in un periodo dell’anno rischioso a livello climatico per atleti già logori fisicamente, vada rivisto e corretto, scremando il numero delle qualificate, riducendo anche il numero delle città che ospitano le partite e costringono a trasferte scomode, con ovvi disagi anche per i cittadini «normali», per le misure di sicurezza che richiedono l’impiego di forze altrimenti destinate a situazioni più delicate e importanti. Ma nonostante tutto la Coppa del mondo di calcio resta l’evento, la stazione di arrivo ogni quadriennio per qualunque considerazione tecnica sul football.

Il Brasile viene dato per esacampeon, già vincitore del sesto titolo, l’Italia si presenta come sempre con la voglia di fare bene, convinta di avere i migliori calciatori dell’universo ma con la testa frastornata dagli ultimi fatti, il continente africano si vorrebbe togliere il capriccio della prima grande sorpresa mondiale dopo le due vittorie olimpiche (Nigeria ad Atlanta ’96 e Camerun a Sydney 2000), l’Inghilterra vive di nostalgia per l’unico successo (1966), la Germania vuole staccare l’Italia (tre titoli a testa) ripetendo il trionfo di trentadue anni orsono. Coriandoli di sempre. Quello era un altro calcio, era un altro mondiale. Questo è da vedere, soffrire, vivere. Da oggi, fino al 9 luglio. Sperando che in campo ci sia un pallone soltanto. E soltanto il pallone.

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