Di un creativo come Bruno Munari, lartista che ha disegnato il punto di svolta nella storia del design, si sarebbe portati a credere che avesse il proprio punto di forza nella fantasia. «Invece la sua forza fu tutta nel lavoro. Se credeva in qualcosa, era nella disciplina e nellapplicazione. E nel metodo». Il suo.
Alberto Munari, professore emerito di psicologia delleducazione e della formazione alluniversità di Ginevra (la cattedra che fu del grande Jean Piaget), ha 67 anni, parecchi dei quali passati a collaborare con il padre-Maestro. «Sono figlio unico, ed eravamo attaccatissimi. Sì, in qualche modo lavorammo insieme. Fui io a fargli conoscere Piaget e ad avvicinarlo alla pedagogia. Da qui nacque poi linteresse di papà per la didattica, linsegnamento artistico e i laboratori per bambini che inaugurò qui a Milano, a Brera, nel 77, e che da allora sono diffusi dappertutto...». E fu per lui, per il figlio Alberto, che molti anni prima, appena finita la guerra, quando lavorava come grafico per Mondadori ed era art director della rivista Tempo, che cominciò la sua serie di libri per bambini che poi furono tradotti in mezzo mondo. Come sempre aveva inventato un metodo: il metodo Bruno Munari.
Pioniere che esplorò tutti i territori dellarte del pianeta-Novecento, Munari partì dalla Milano del secondo Futurismo - erano gli anni Venti - per poi attraversare nei Trenta le regioni metafisiche del gruppo della galleria Milione, scoprire insieme a Gillo Dorfles nei Quaranta il Movimento Arte Concreta, firmare nei Cinquanta il «Manifesto del Macchinismo», organizzare nei Sessanta la prima Mostra di Arte Programmata (al negozio Olivetti di Milano), mettere un piede nelle regioni psichedeliche dellarte optical nei Settanta e ri-approdare, infine, nella sua Milano, ai Laboratori per linfanzia della Pinacoteca di Brera... «Sì, mio padre fu un artista-totale però prima di tutto fu un designer, anzi il designer. Fu grazie a lui che il design fu riconosciuto come campo disciplinare autonomo distinto dallarte applicata, con una sua dignità. Come artista fu un grande sperimentatore, come designer un vero creatore».
Creare: un verbo che si coniuga bene con Bruno Munari, così come insegnare. Cosa che fece tutta la vita, a partire dal figlio. «Linsegnamento più grande che mi ha lasciato? Quello di avere uno sguardo sempre curioso nei confronti della realtà, qualsiasi cosa essa fosse: larte, la vita quotidiana, lo studio... Un metodo Che si può riassumere nella domanda: come questa cosa si potrebbe fare diversamente? Mio padre mi ha insegnato a chiedermi sempre come una cosa si può fare in maniera diversa rispetto alle convenzioni correnti. E ciò suggerisce processi di esplorazioni, di manipolazione, di ricerca diversi dal solito».
Diverso dal solito: Bruno Munari - «un uomo minuto, estremamente gentile, molto esigente ma disponibilissimo verso i collaboratori, uno che credeva nella libertà intellettuale con la stessa forza in cui credeva nella curiosità creativa» - fu diversissimo dal «solito» che lo circondava.
Così tanto diverso da estrarre dal cilindro della sua mente polimaterica macchine aeree e «macchine inutili», oggetti metafisici, libri col buco e libri illeggibili, «polariscopi», sculture da viaggio, sedie (scomodissime) per visite brevi, strutture ad alta tensione, «ideogrammi matrici»... Amava guardare il mondo, ma chissà perché lo vedeva sempre in maniera diversa da tutti gli altri. E se avesse mai dovuto dargli una forma, al suo mondo, forse gli avrebbe concesso quella di un libro. «Spaziò dalla pittura allarchitettura, ma lopera di cui era più orgoglioso era il lavoro grafico per lEinaudi: con le sue copertine diede davvero un immagine alla casa editrice».
Munari che a Milano nacque centanni fa di questi giorni, che a Milano lavorò tutta la vita, e che a Milano morì nel 1998 - «una città di cui amava le caratteristiche internazionali: la vivacità intellettuale, il suo essere cosmopolita, multiculturale, aperta al nuovo e la diverso» - ebbe più di tutte una dote: prender la vita come un gioco, ma seriamente.
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