E Ciampi diventa tifoso di Sheva: «Bravo, campione»

Processione all’ospedale per salutarlo. Ha detto: «Bella vita, rifarei tutto»

Franco Ordine

Dicono sia l’attestato più toccante per un calciatore: il pallone della partita, con le firme della terna arbitrale, passato direttamente ad Andriy Shevchenko e da lui conservato gelosamente nel bagaglio a mano, di ritorno da Istanbul. L’ambasciatore del gol nel mondo è rimasto colpito dal gesto che non ha raccontato in pubblico nelle cento interviste rilasciate in poche ore, la notte delle magie e il giorno dopo sul charter e alla Malpensa di ritorno dal viaggio da mille e una notte nella metropoli dei suoi incubi e dei suoi successi, laggiù conquistò il pass per il mondiale, laggiù vide sfilare davanti agli occhi la coppa dei Campioni nelle mani del Liverpool.
Dicono sia il complimento più ambìto per chi abbia frequentato Milanello e ascoltato i racconti stregati dei sodali di un tempo: Shevchenko il moderno Van Basten, riferimento statistico ai quattro gol in Champions league rifilati sulla schiena del Fenerbahce proprio come accadde al mitico Marco sul Goteborg e ad altri quattro eletti, tra cui il laziale Simone Inzaghi, fratello del Pippo redivivo. «È un grande onore il paragone ma ci accomuna solo la passione per il gol, siamo vissuti e abbiam giocato in epoche diverse», riferisce puntiglioso Shevchenko che adesso può specchiarsi nelle cifre prodigiose della sua carriera rossonera, 156 reti in 268 partite, una media da macchina del gol e andar fiero del primato nell’edizione attuale della Champions, macchiata da qualche colpo a tradimento, l’infortunio al tallone per esempio. «Avessimo giocato anche in quello stadio la finale di maggio...» è l’ultimo rimpianto, sotto forma di sospiro, che Sheva abbandona insieme ai coriandoli e agli applausi a scena aperta ricevuti nel magnifico catino del Sokru Saracoglu.
Dicono sia pronto a consegnare lunedì sera a Parigi il Pallone d’Oro a Ronaldinho, un viaggio scortato da Galliani e Braida: vogliono incoronare il brasiliano-giocoliere di Barcellona. «Se lo merita, fa vincere la squadra, diverte e ha sempre il sorriso sulle labbra», spiega. Dicono che gli sia rimasto nel cuore quell’applauso del pubblico, scattato in piedi, al disegno geometrico del terzo gol, partito da Seedorf, finito a Serginho e concluso, col velo di Gilardino, sul piede ispirato del monarca di Kiev. «Non voglio difendere il pubblico turco ma la mia esperienza è strepitosa da queste parti, pubblico sportivissimo, non credo meritano l’esclusione minacciata dalla Fifa» è il suo spot.
Dicono sia orgoglioso di quella stretta di mano e di quel «complimenti campione» pronunciato ieri mattina, all’ora della partenza per l’aeroporto, da Carlo Azeglio Ciampi, finito nel salone dell’albergo Kempinski per un incontro occasionale e molto cordiale. Anzi, trasformato da Adriano Galliani, il braccio destro di Berlusconi, in una specie di arruolamento dell’insigne livornese. «Presidente, l’altra volta ci incontrammo a Lisbona e il Milan vinse 3-0 (errore, finì 1-1 con lo Sporting, la memoria perde colpi, ndr), stavolta a Istanbul 4-0, giuro che studierò il suo prossimo calendario di trasferimenti».

Foto, strette di mano e presentazione ufficiale, tutto in dieci minuti buoni sottratti al cerimoniale. Dicono. Mentre il Milan perde qualche pezzo (Kakà con un colpo alla schiena, Gattuso con un ginocchio mal messo) e Galliani chiede ai suoi di non passare «dalle stalle alle stelle».

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