E le donne distruggono «la» partita dell’hockey

«L’unico lavoro peggiore del portiere di hockey è raccogliere giavellotti in un meeting di atletica». Irina Gashennikova ha 34 anni ed è quasi più larga che lunga, sessantasei chili spalmati come una salsiccia su centosessantaquattro centimetri. É il portiere dell’Armata Rossa femminile e l’altra sera di giavellotti ne ha presi tredici. Dagli Stati Uniti, il peggio che potesse capitarle. Nell’hockey su ghiaccio la donna non è ancora il futuro dell’uomo. Le ragazze giocano, corrono, nuotano, pattinano senza più rivalse, senza traumi, senza rincorrere il tempo perduto. Ma qui no. Il ghiaccio è territorio del maschio come il rugby, il football americano, loro, le ragazze, sono quasi sempre inadatte, impossibili, sbagliate. Chi si concede perde. Anche se lo stress della gara indurisce, strazia il cuore, il cervello e i muscoli come agli uomini, le donne al massimo possono fingersi ragazzi. L’America non si è fatta intenerire dalle dure dell’hockey, anzi le ha pure guardate un po’ storte. Perchè per loro Usa-Urss è la madre di tutte le partite, è Lake Placid, la guerra fredda, the «Miracle on Ice», Mike Eruzione e impossible is nothing. La loro Italia-Germania 4-3: «Tutti noi sappiamo benissimo dove ci trovavamo quando fu ucciso John Kennedy, quando l’uomo mise piede sulla Luna e quando gli Usa batterono l’Unione Sovietica a Lake Placid» spiega Dave Ogrean, che dell’hockey era il padre padrone. Sacrilegio più che vendetta. Perchè tirava una brutta aria trent’anni fa giusti, l’Unione Sovietica aveva appena invaso l’Afghanistan e sul ghiaccio aveva molti nemici ma nessun rivale. L’Armata Rossa era un carrarmato, il Brasile del mundial spagnolo di calcio, una All Stars di fenomeni: «A meno che il ghiaccio non si sciolga i russi vinceranno la medaglia d’oro per la sesta volta consecutiva» scriveva il «New York Times». Il ghiaccio si sciolse il 22 febbraio 1980 per colpa di una banda di ragazzini, studentelli, dilettanti, sfigati, che Herb Brooks, mister alla Clint Eastwood, trasformò in un manipolo di eroi, con pochi schemi, centinaia di allenamenti e la retorica di guerra: «Qui non importa quello che avete scritto sulla schiena, cioè il nome, ma quello che c’è scritto sul davanti della maglia». Cioè Usa. Passeranno sette mesi allenandosi come marines e ne usciranno come Rambo dalla giungla. Specie il capitano Mike Eruzione che ha venticinque anni, è il più vecchio del manipolo ed è il cognato di Giorgione Chinaglia. É lui il Rivera che segna il 4-3 che stende l’Orso, e che si ritirerà dopo l’oro «perchè nessun altra vittoria potrà darmi la stessa emozione». «Do you believe in miracles? Yes!» griderà Al Michaels, telecronista della Abc, sul countdown.

Brooks muore prima del film che Hollywood dedica a «The Miracle», sarà il solo a non vederlo ma «he never saw it, he lived it», non lo ha mai visto, lo ha vissuto. Le donne, il tredici e Irina, capirete, alla fine ti lasciano un pò freddino...

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