E' grazie ad Ayn Rand se siamo liberi

Negli Usa i suoi libri sono i più influenti dopo la Bibbia. E per lei c'è chi compie follie, come percorrere migliaia di chilometri per pubblicizzarla su Google Earth

Dopo aver attraversato in lungo e in largo l’America al solo fine di tracciare sulla mappa di Google Earth la frase «Read Ayn Rand» (ossia: «leggete Ayn Rand»), Nick Newcomen ha giustificato il suo viaggio sottolineando il valore e l’attualità della scrittrice: «se più persone leggessero i suoi libri e ne prendessero sul serio le idee, il mio Paese e il mondo intero sarebbero un posto migliore, più libero e più prospero». Questo girovagare per un mese intero attraverso trenta States, con un occhio al GPS e a quanto la vettura andava disegnando sulla cartina del Nord America, è destinato a entrare nel Guiness dei primati come la più gigantesca e sorprendente pubblicità. Va però considerato - come ha ricordato lo stesso Newcomen - che Atlas Shrugged (La rivolta di Atlante, uno dei suoi romanzi principali) è stato considerato «il secondo tra i libri più influenti agli occhi degli americani contemporanei», dopo la Bibbia. E non c’è dubbio che quella della Rand sia stata una vita fuori del comune, capace di lasciare il segno nella società statunitense.
Cresciuta in una Russia sconvolta dalla Rivoluzione bolscevica e per questo precipitata nella disperazione della fame e della totale mancanza di libertà, la Rand (il cui vero nome era Alisa Rosenbaum) abbandonò San Pietroburgo nel 1925 - all’età di vent’anni - per raggiungere quegli Stati Uniti in cui intraprenderà una carriera di successo quale autrice di sceneggiature e di romanzi. A lei si deve pure la nascita di una corrente filosofica, l’oggettivismo, in cui si fondono una rilettura alquanto semplificata di Aristotele, una difesa rigorosa del capitalismo e una negazione in termini «razionali» (o pretesi tali) dell’esistenza di Dio.
Le conseguenze sono state notevoli, soprattutto per quel complesso di uomini, movimenti, idee e riviste che in America viene variamente etichettato come «conservatore», «libertario» o «liberale classico». Nel 1972 sarà Jerome Tuccille che - con un testo intitolato Usually It Begins with Ayn Rand (Di solito si inizia con Ayn Rand) - che dirà ad alta voce quello che allora appariva chiaro a tanti, e cioè che in quegli anni la maggior parte dei giovani americani schierati a difesa della società capitalistica aveva iniziato a detestare il Leviatano proprio leggendo i romanzi randiani. In questo senso non c’è il minimo dubbio che l’America odierna sarebbe assai più socialista se quella ragazza non avesse attraversato l’Atlantico.
Purtroppo, il personaggio non era privo di difetti. Megalomane come pochi altri, la Rand aveva una considerazione di sé davvero sproporzionata. In una divertente commediola intitolata Mozart era un rosso e scritta da Murray Rothbard (che per un certo periodo ne frequentò il salotto durante gli anni ’50), la Rand viene smascherata in tutto il suo ridicolo egocentrismo, che la portava a far coincidere le sue idiosincrasie con valori da lei considerati assoluti. Al punto da ritenere Rachmaninov un grandissimo compositore e Mozart, invece, un autore decadente, sospettabile di nichilismo. In poche parole: un «rosso». La stessa vicenda personale di Rothbard fu segnata non poco dall’incontro con i randiani, dato che egli era in cura dall’amante della Rand, lo psicologo Nathalien Branden, quando fu costretto a lasciare il gruppo perché accusato di deviazionismo.
Piazzatasi a New York e fattasi espressione del più puro spirito individualista, soprattutto negli anni ’50 e ’60 la Rand anima con vigore un circolo intellettuale su cui gravitano molti tra coloro che, in un’America largamente dominata dal progressismo kennedyano, si sforzavano di difendere la proprietà privata e la libera impresa. Lo stesso Alan Greenspan, poi destinato a gestire la Banca centrale seguendo logiche keynesiane, frequenterà il gruppo, gestito in modo autoritario e non di rado un po’ folle dalla scrittrice.
Una lunga serie di infatuazioni erotiche, abbandoni, accuse e risentimenti segnerà la vita del movimento randiano, che anche dopo la morte della fondatrice non smetterà di operare. E se oggi le istituzioni che in maniera più ortodossa si rifanno all’autrice sembrano talora riprodurre in termini nuovi talune vecchie ottusità, la parte migliore del lascito oggettivista è riconoscibile nel lavoro di chi è partito dalla Rand per sviluppare in termini personali talune di quelle intuizioni.
Non deve stupire, ad ogni modo, che nell’America di Obama ci sia un ritorno di interesse per i romanzi e i saggi oggettivisti. Ebrea russa costretta ad abbandonare il «paradiso dei soviet», la Rand ha avuto il merito di comprendere come l’America non possa sopravvivere se lo spirito della libertà viene soppresso, se lo Stato espande i propri tentacoli, se la tassazione e la regolamentazione spengono lo spirito d’impresa.

L’invito a rileggere la Rand, quali che siano i limiti della sua letteratura e del suo pensiero, va inteso soprattutto come un invito a restare fedele all’idea degli States come terra della speranza.
In questo senso, anche una lunga e bizzarra maratona automobilistica di 20 mila chilometri può avere una sua giustificazione.

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