Roma Questo «è un telefilm». E «chemmenefrega». Con queste argomentazioni Tonino Di Pietro si è difeso ieri dal boomerang dell’inchiesta Magnanapoli in cui compaiono il nome suo e del figlio Cristiano. Il figlio, in particolare, come politico in contatto con l’allora provveditore alle Opere Pubbliche di Campania e Molise Mario Mautone, con il quale avrebbe mantenuto rapporti «ambigui»: gli avrebbe portato insistenti richieste di «cortesie» per incarichi da affidare a persone a lui vicine, secondo la ricostruzione della procura partenopea.
Quello che si può dire è che ieri mattina non c’è cascato. Impossibile che attaccasse i magistrati, lui Di Pietro, ex pm che professa coscienze limpide e corruzione zero. «Magistrati buon lavoro», ha quindi esordito nella sua arringa difensiva, capitata casualmente a Montecitorio al termine di una conferenza stampa di partito, quando l’inchiostro dei giornali era già inzuppato del suo cognome.
L’ex magistrato e politico Di Pietro si ritrova ufficialmente nelle carte di un’inchiesta che scotta, l’appassionato di intercettazioni ha visto il nome di suo figlio, consigliere provinciale a Campobasso, stampato sui brogliacci di Napoli, la Direzione investigativa antimafia sospetta che l’ex ministro e leader dell’Italia dei valori sia stato addirittura informato da qualche talpa già nell’estate del 2007. Nessun indagato, ma considerazioni serie: «Non si può escludere una fuga di notizie», scrive la Dia, al seguito della quale «il provveditore Mautone verrà trasferito» dal ministero allora guidato da Di Pietro e Cristiano «non parlerà più al telefono con Mautone».
Abituato alle arringhe d’accusa, Di Pietro ieri ha indossato la toga di avvocato in difesa di se stesso. E di suo figlio. Ecco come ha risposto: «I magistrati vadano avanti e gli auguro buon lavoro, perché quando non si ha nulla da temere non si ha paura delle intercettazioni e delle indagini. Anzi, confermo che sono un utilissimo strumento d’indagine». Una captatio benevolentiae senza colpo ferire: «Quello che abbiamo letto sui giornali è un telefilm senza capo né coda, una non-notizia, ma siccome non ho nulla da temere, non mi unirò», non si unirà, «come in molti speravano, alla politica paludata che se la prende con i magistrati. Né io, né mio figlio, abbiamo niente da nascondere».
Ma la difesa del figlio, quella sì, è forse più difficile di qualsiasi accusa della sua carriera: le segnalazioni di Cristiano a Mautone, di «a suo dire bravi professionisti», è «un comportamento senza nessuna rilevanza penale - ha scritto successivamente sul suo blog il padre, magistrato, avvocato di suo figlio Antonio Di Pietro - ma, a mio avviso, comunque non opportuno e non corretto».
Poi ha negato almeno tre volte. Non sapeva niente, ha spiegato, «del ricatto nei miei confronti né presso mio figlio. L’ho appreso dai giornali» (dalle carte della Dia risulta che la moglie di Mautone in un’intercettazione gli chiedeva di «buttarla sul ricatto del figlio»).
Perché ha trasferito Mautone? «Perché chiacchierato - ha scritto sul blog - per fargli fare altre esperienze». Fargli «migliorare il proprio curriculum... ». Ha negato l’esistenza di una talpa: non aveva «contezza di indagini specifiche sul suo conto da parte della magistratura napoletana».
Ha negato di fare dietrologia: «Qualcuno potrebbe chiedermi se sia un caso il fatto che queste intercettazioni escano fuori proprio all’indomani del voto in Abruzzo». Sospettoso lui? «Sapete che vi dico: che me ne frega? Che m’importa se lo hanno fatto per delegittimare o no? Non c’è figlio che tenga. Chi non ha nulla da temere deve puntare alla verità». Buon lavoro.
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