E il mio amico Lacedelli riportò Buzzati a scalare una montagna

Giornata grigia nel cielo di Cortina ieri. E anche strana. Perché l’altra notte ci ha lasciato per sempre una figura luminosa quale è stato lo «Scoiattolo» Lino Lacedelli. Fra due settimane avrebbe compiuto 84 anni. Due mesi orsono l’Unesco aveva eletto le Dolomiti patrimonio dell’umanità e proprio lassù si era festeggiato in più modi, anche quello di prendersi per mano in quasi 600 ed abbracciare le famose Tre Cime di Lavaredo. Dopo quel giorno è morto Toni Sailer, campione olimpico a Cortina d’Ampezzo nel 1956 e considerato, giustamente, il più grande sciatore di tutti i tempi. Poi sono franate alcune pareti fra Pieve di Cadore e Cortina, causando la morte di due persone e l’elicottero del Soccorso alpino, toccando i fili dell’alta tensione è precipitato portando con sé i quattro occupanti. Poi se n’è andato in cielo Gabriele Franceschini, la guida alpina prediletta dallo scrittore Dino Buzzati, e alcuni giorni dopo il caro Bibi Ghedina, che di Lino Lacedelli fu compagno di cordata in due delle più importanti scalate. Nel 1951 la ripetizione della via Bonatti-Ghigo sul Grand Capuccin, effettuata in sole 18 ore, che suscitò anche qualche incredulità, ma alla fine fu accertata come realmente avvenuta. Nel 1952, invece, aprirono addirittura una nuova via diretta lungo la tremenda parete della cima Scotoni, definita da molti un vero capolavoro. E anche da Lino Lacedelli: «La più dura scalata della mia vita».
Ma la storia di Lino scalatore, arricchita anche da 163 salvataggi, ebbe inizio a soli 14 anni quando, sfuggendo all’attenzione del padre, si avventurò su una delle Cinque Torri. E si completa, 65 anni dopo, nel 2004, quando per festeggiare il cinquantesimo anniversario della vittoria italiana sul K2 camminò da Katmandu per 130 chilometri, fino agli oltre 5mila metri di quota del campo base per rendere omaggio alla tomba del compagno Puchoz, lì morto durante la prima spedizione.
Il suo nome comunque è legato ovviamente alla conquista nel 1954 del K2, seconda montagna al mondo dopo l’Everest, ma sicuramente più dura. Come si sa (fin troppo...), da quell’impresa sono nate forti polemiche, soprattutto fra i due vincitori, Lino Lacedelli e Achille Compagnoni, e il grande Walter Bonatti che assieme all’hunza Madi aveva portato le bombole di ossigeno fino a oltre 8mila metri per l’assalto finale. Questi ultimi, infatti, furono lasciati a trascorrere la notte senza ripari a oltre 8mila metri poiché secondo i due vincitori «non c’era alcuno spazio nella loro piccola tenda». Dopo anni di discussioni ognuno è rimasto sulle proprie posizioni, fino a quando nel 2007 si è chiusa definitivamente la diatriba grazie al giudizio di tre esperti eletti dalla direzione del Club alpino italiano.
Per quanto mi riguarda mi sento di dover dire che ho avuto un eccellente rapporto con Lino, che vedevo ogni anno durante le mie vacanze a Cortina d’Ampezzo. Lo vedevo spesso, e talvolta per caso, perché dopo aver smesso di arrampicare camminava ogni giorno per un paio d’ore, su ordine del medico, e andava verso il Pomagagnon e la Punta Fiammes, due montagne proprio sopra la mia casa. C’è un episodio per il quale Lino mi è sempre stato grato. Nel 1966, Dino Buzzati stava per compiere i 60 anni, non arrampicava più da nove, camminavamo spesso assieme e io avvertivo quanto forte fosse il suo segreto desiderio di rimettere le mani sulla roccia e soprattutto su quella della Croda da Lago, dove lui a 16 anni fece la prima scalata della vita, legato a una corda. Lo preparai fisicamente e segretamente, costringendolo a qualche gita un po’ faticosa e quando lo giudicai pronto, improvvisamente gli dissi: «Caro Dino, domani ti faccio un gran regalo». E lui, guardandomi stupefatto ribattè: «Cosa caro?». E io: «Domani ti porto a rifare la via Hoetwes, sulla Croda da Lago». Si bloccò sbalordito, e io aggiunsi: «Guarda Dino, potremmo andare da soli, sei in gamba, ma io ho convinto Lino Lacedelli a stare con noi, a salire al nostro fianco per darti un’immensa sicurezza». Così avvenne, c’è una bella foto che lo testimonia e anche Lino me ne fu grato per il resto della vita. Al punto che nell’agosto del 1972, sette mesi dopo la morte di Buzzati, venne organizzato al rifugio Palmieri un incontro culturale per ricordarlo e, a parte gli interventi di scrittori e giornalisti, quattro storici delle scalate, Riccardo Cassin, Franco Mandelli, il maestro di sci prediletto da Buzzati, Pierre Mazeaud, pupillo di De Gaulle, Lino Lacedelli ed io ripetemmo la via della sua ultima arrampicata.
Il destino ha voluto che ci incontrassimo un’ultima volta la scorsa estate all’istituto Codivilla, a Cortina, dove Lino era segretamente ricoverato per la convalescenza a seguito di un intervento al cuore. Il responsabile, dottor Bellotto, anch’egli appassionato alpinista, mi chiese di attendere qualche istante e al suo ritorno mi disse: «Adesso ti porto da un amico». Era proprio lui, il caro Lino.

Restammo assieme una decina di minuti e, dopo averlo abbracciato, me ne andai e scendendo in ascensore capii che anche il suo destino era ormai segnato. Domani, a Cortina sarà lutto cittadino, tutti i negozi rimarranno chiusi e i maglioni rossi degli Scoiattoli accompagneranno il grande amico verso la sua ultima dimora.

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