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E' MORTO OSCAR LUIGI SCALFARO Il presidente che volle il ribaltone

E' morto a novantatré anni Oscar Luigi Scalfaro, nono presidente della Repubblica dal 1992 al 1999: guarda la gallery. Nato a Novara il 9 settembre del 1918, lascia la toga di magistrato per essere eletto, nel 1946, all’Assemblea Costituente: deputato, senza interruzioni, dal 1946 al 1992 quando durante la sua presidenza dell'Aula di Montecitorio fu eletto capo dello Stato. VIDEO Il settennato al Colle. VIDEO Il famoso "Io non ci sto". Il cordoglio della politica. Napolitano: "Esempio di integrità morale". Ma c'è chi lo critica: "Non dimentichiamo la faziosità". VIDEO Scalfaro, i giovani e la Costituzione: una delle ultime apparizioni

E' MORTO OSCAR LUIGI SCALFARO Il presidente che volle il ribaltone

Un curriculum "esemplare". Di quelli lunghi, anzi lunghissimi. Che affonda le proprie radici nell'anti fascismo e che lega, sin dall'inizio, la giustizia alla militanza politica. Dopo un'intera vita passata in politica è morto a novantatré anni Oscar Luigi Scalfaro, nono presidente della Repubblica. Nato a Novara il 9 settembre del 1918 e, dopo una parentesi (breve, ma significativa) nella magistratura lascia le aule di tribunale per approdare tra i banchi di Montecitorio: vi rimane, senza interruzioni, dal 1946 al 1992 quando viene chiamato al Colle. Insieme a Sandro Pertini ed Enrico De Nicola, Scalfaro ricopre tutte le tre più alte cariche dello Stato: oltre a sedere sul più alto scranno del Quirinale, presiede anche la Camera e, provvisoriamente, il Senato. I funerali di Scalfaro, senatore a vita per diritto, si terranno domani pomeriggio - in forma privata - nella chiesa di Santa Maria in Trastevere a Roma.

I primi passi, Scalfaro, li muove nell'Italia di Benito Mussolini quando nel 1943 entra in magistratura (giurando, va da sé, fedeltà al Duce). Chiamato alle armi e assegnato al 38° Reggimento di Fanteria a Tortona, viene congedato in quanto magistrato. Di lì a poco la Repubblica di Salò cade e nei tribunali è l'anti fascismo militante a farla da padrone. Quando gli alleati, disgustati dalle sentenze sommarie dei Tribunali del Popolo, impone l'istituzione di regolari Corte d'Assise Straordinarie, Scalfaro ci si butta. Sarà lui stesso, più avanti, ad ammettere che in qualità di pubblico ministero chiese (e ottenne) una pena capitale: quella per Enrico Vezzalini. Le cronache del tempo, tuttavia, assicurano che ad almeno altri sei è toccata la stessa sorte. Ad ogni modo, non passa molto tempo che Scalfaro decide di lasciare la toga per essere eletto nel 1946 all'Assemblea Costituente: inizia un lungo cammino, una scalata alle più alte cariche dello Stato (culminato con il raggiungimento nel 1992, subito dopo la strage di Capaci in cui a Palermo vennero uccisi i giudici Falcone e Morvillo e gli agenti della scorta, della presidenza della Repubblica) un corsus honorum spesso segnato dalla partigianeria, dalle polemiche e dal coinvolgimento nell'inchiesta sulle trattative tra Stato e mafia.

Nel 1950, il giovane deputato (cattolico fervente) è al ristorante romano "da Chiarina" insieme ai colleghi di partito Sampietro e Titomanlio, quando se la prende con Edith Mingoni in Toussan per l'abbigliamento "sconveniente" dettato dalle spalle nude. Secondo una ricostruzione del Foglio, la signora si sarebbe tolta un bolerino a causa del caldo. "E' uno schifo - avrebbe gridato Scalfaro - una cosa indegna e abominevole! Lei manca di rispetto al locale e alle persone presenti. Se è vestita a quel modo è una donna disonesta. Le ordino di rimettere il bolerino". L’episodio termina in Questura dove la giovane, militante del Msi, querela Scalfaro per ingiurie. Sin dagli inizi, quando nel 1946 è eletto nell’Assemblea Costituente, Scalfaro è nelle liste della Democrazia cristiana. Dal 1983 al 1987 è ministro dell’Interno nei due governi presieduti da Bettino Craxi. E ancora: nell'aprile del 1992 viene eletto alla presidenza della Camera che lascerà appena un mese dopo perché chiamato a guidare la Repubblica.

Succedendo a Francesco Cossiga, Scalfaro diventa capo dello Stato grazie ai voti espressi da Dc, Psdi, Psi, Pri, Pds, Verdi, Radicali e Rete. La sua permanenza al Quirinale verrà ricordata come una delle presidenze più controverse della storia repubblicana. Sin dall’inizio del mandato è chiamato ad affrontare la più grave crisi della Prima Repubblica con Tangentopoli che provoca un forte affievolimento della rappresentatività della politica. La stampa li definirà "sette anni drammatici". Nel 1993 il Belpaese è scosso dallo scandalo sui fondi neri del Sisde versati a favore di alcuni funzionari dei servizi segreti. In una girandola di indagini, colpi di scena e accuse reciproche tra le istituzioni, Scalfaro si presenta in televisione il 3 novembre 1993 e, a reti unificate, interrompe una partita di Coppa Uefa per pronunciare un messaggio straordinario alla nazione: "Io non ci sto" (guarda il video).

Durissimo anche lo scontro con l'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Dopo le elezioni del 1994, quando il Cavaliere sale a Palazzo Chigi col Polo delle Libertà, Scalfaro respinge la nomina di Cesare Previti al ministero della Giustizia. In un colloquio preliminare con il futuro premier, l'allora presidente della Repubblica si pone di traverso: "Devo insistere: per motivi di opportunità quel nome non può andare". Così, Previti viene spostato alla Difesa e sostituito da Alfredo Biondi nel ruolo di Guardasigilli. D'altra parte la presidenza di Scalfaro non è mai stata super partes. Nel 1994, dopo le dimissioni del Cavaliere, invece di sciogliere le Camere forma un nuovo governo promettendo un premier di fiducia dello stesso Berlusconi. Tocca a Lamberto Dini.

Da quel momento la militanza di Scalfaro si sposta - apertamente - a favore del centrosinistra: vota la fiducia al governo D’Alema e al Prodi II, nel 2007 aderisce al Partito Democratico.

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