Per quanto la critica si possa mostrare magnanima con Walter Veltroni, difficilmente potrà mai raggiungere i livelli di ossequio deferente che si scatenano ogni volta che viene pubblicato un libro del «padre» di Repubblica, il filosofico e pensoso Eugenio Scalfari. Non per levare nulla a uno dei più noti giornalisti italiani però quando venne pubblicato, nel 2008, il suo Luomo che non credeva in Dio la genuflessione intellettuale toccò punte di rara intensità. Il libro che si incentrava su domande filosofiche di spessore e inaudita modernità - Chi siamo, che famo, ndo andamo, e se ndamo poi tornamo? - fu etichettato con una serie di paragoni che spaziavano da Parmenide a Pessoa passando per: Proust, Eraclito, Croce, Cartesio, Socrate, Rilke e Pascal. Esageriamo?
No, esagerarono tutti. Tanto per citare solo qualche esempio: questo è lincipit della recensione che il teologo Vito Mancuso (sulle pagine de Il Foglio) dedicò a questopera immortale: «Il titolo Luomo che non credeva in Dio ha un sapore di eterno... Un ruolo decisivo nel libro lo ricopre Friedrich Nietzsche, il pensatore al quale Scalfari dedica più spazio... più di Cartesio, Spinoza, Kant, Freud... Ma mentre questi filosofi hanno contribuito a formare Scalfari che poi li ha per così dire superati, Nietzsche sembra rimanere il faro...». Claudio Magris sul Corriere si limitò invece a: «Chi ha scritto Luomo che non credeva in Dio, ... autobiografia classicamente composta e possente nella sua classica scrittura, che tuttavia indaga inquieta il suo tessuto, quasi per disfarlo, come il lavoro notturno di Penelope? Lha scritto... Un protagonista di primo piano, da decenni, del giornalismo...
Veltroni rosicherà. Lui normalmente, sempre senza piaggeria, lo paragonano solo a Conrad o a Henry James. Neanche fosse una Mercedes Bresso qualunque.
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