Il calcio in tv dell'era Covid è ripartito faticosamente, nonostante fosse il solo veicolo per assistere alle partite, a stadi chiusi, vuoti e tristi. Anticipato dalla ripresa della Bundesliga, i dati delle prime giornate di campionato di serie A non sono stati affatto confortanti, complice l'orario a tarda sera (alcune partite non proprio esplosive delle 21,45 provocavano un inevitabile effetto soporifero) e l'esito piuttosto scontato. Decisamente meglio è andata con le coppe: Champions ed Europa League hanno realizzato share ragguardevoli, in linea con le passate stagioni. Barcellona-Bayern o Atalanta-Psg hanno attirato davanti lo schermo non solo i rispettivi tifosi, ma anche più generici amatori del calcio e dello sport.
Resta però evidente la difficoltà di raccontare il calcio senza pubblico, nelle arene desolate, uno spettacolo cui manca (e temo a lungo mancherà, visto che nello stupidario politico gli stadi sono luoghi demoniaci quanto le discoteche) l'ingrediente fondamentale, il tifo, la passione, le grida, il contorno, le coreografie. In questa nuova fase risulta evidente un cambio di gestualità dei protagonisti in campo: meno perdite di tempo, poche sceneggiate, nessun ammiccamento alle tribune, saltato il concetto di casa e trasferta è come se le partite si giocassero tutte in campo neutro. Certo, si sentono le voci e qualche volta può scappare qualcosa di illecito che gli arbitri più intelligenti fanno finta di non avere ascoltato, visto che il calcio non è il tennis. Con il supporto del Var che congela ulteriormente la partita come evento in diretta, sembra perciò di assistere a un evento televisivo moltiplicato e frazionato, da cui è difficile farsi trascinare in una tempesta emotiva.
Non che i telecronisti e le seconde voci di Sky non ci abbiano provato: Caressa e Bergomi, Compagnoni e Marchegiani, Trevisani e Adani, ciascuno con il proprio stile, hanno provato a descrivere la partita come se fossimo ancora in un mondo normale, chi con la consueta enfasi, chi disquisendo sull'analisi tecnico-tattica. La cronaca di Atalanta-Psg è stata capace di restituire pathos, speranza, disillusione, crollo come se davvero ci fossero stati 70mila spettatori. Persino l'assegnazione della coppa scudetto - nona consecutiva - alla Juventus, televisivamente parlando è sembrata realistica, quando invece si è trattato di un simulacro, che neppure il più fantasioso dei giornalisti riuscirebbe a rendere del tutto veritiera se priva di ingredienti che si sono dimostrati, una volta di più, fondamentali e niente affatto di contorno.
E pensare che tante volte ho sentito previsioni di un futuro con un calcio unicamente televisivo, che avrebbe sottratto pubblico alla dimensione live a causa dei costi, degli orari, delle temperature, degli stadi obsoleti.
Si è capito, invece, che il pallone è spettacolo per le persone e che neppure CR7, Messi, Lukaku o l'intero Bayern Monaco potranno divertirsi fingendo ciò che è nato per coinvolgere, unire, dividere. Chissà quale soluzione troveranno, ma la trovino, per restituire al calcio in tv e allo stadio la propria dimensione originale.
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