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Gabriele Villa

da Milano

Impreca l’Europa che batte i denti. E, paralizzata da un gelo che scende nelle ossa sempre più minaccioso, scopre di essere oggetto e terreno di scontro di una guerra, forse ancor più subdola. La guerra dell’altro gelo, quello sceso sulle relazioni commerciali e diplomatiche tra Mosca e i Paesi un tempo suoi satelliti. Poco importa se siano rimasti amici o siano diventati nemici perché ideologicamente orientati verso Ovest. Costretta a contare i suoi morti assiderati, la Russia ha deciso di sparare ad lazo zero contro i presunti profittatori di gas, colpevoli unici di una delle più gravi crisi energetiche del dopoguerra. E allora via con nomi e cognomi. L’Ucraina innanzitutto.
Gazprom, il colosso russo che monopolizza il gas, il cui nome ci è oramai familiare, per bocca del gran capo Alexander Medvedev, sostiene che l’Europa non sta ricevendo abbastanza gas naturale perché Kiev se ne guarda bene dal porre restrizioni sui propri consumi domestici. Parlando al canale tv Rossia, Medvedev si è giustificato così: «Quanto sta accadendo al momento non permette di adempiere agli obblighi nei confronti dei nostri clienti stranieri». Secondo il manager «l’ammontare giornaliero di gas pompato attraverso l’Ucraina è stato aumentato di 35 milioni di metri cubi nei giorni scorsi, ma parte delle esportazioni non hanno potuto raggiungere l’Unione Europea per l’ingordigia dell’Ucraina». Difficile che gli ucraini incassino i rimbrotti di Mosca senza colpo ferire e così il premier Yuri Ekhanurov ha replicato: «Kiev ha consumato 407 milioni di metri cubi nelle ultime 24 ore: una quantità record di gas naturale che ha reso i nostri partner russi alquanto nervosi». Non solo, Kiev assicura che continuerà a mantenere i suoi impegni di transito del combustile: «Abbiamo contratti per l’export da qui a cinque anni, e continueremo a rispettarli» ha garantito il presidente di Naftogaz Ukraina, Aleksey Ivchenko. Anche se il manager non ha precisato quanto del gas russo e turcmeno la compagnia intenda “ri-esportare” in Europa nel 2006. Siamo soltanto all’ultimo atto di un’infinita diatriba. Sembrava tutto finito con il compromesso del 4 gennaio e invece Russia e Ucraina sono punto e a capo. Nel frattempo è successo che la Rada, il Parlamento ucraino, ha votato la clamorosa sconfessione del premier Yekhanurov, fedelissimo del presidente Viktor Yushcenko, accusandolo di eccessiva arrendevolezza alle prepotenze dei russi e definendo “inaccettabile” quel contratto con Mosca che per Yushcenko è “un brillante compromesso”. D’altra parte l’accordo sottoscritto con i russi di Gazprom (che prevede che Kiev paghi per i prossimi cinque anni in media quasi il doppio di quanto sborsava fino al 31 dicembre) aveva provocato nel mondo politico ucraino reazioni negative quasi unanimi. Risultato? Tra Mosca e Kiev, restano ancora molti punti da chiarire. L’assetto societario dell’export russo-ucraino, la situazione normativa che regolerà il flusso dell’oro blu tra le due ex Repubbliche sovietiche. Secondo l’Ucraina il protocollo di accordo per il transito del gas potrebbe essere firmato con la Russia entro febbraio. Mentre è ancora da realizzare la joint venture tra la compagnia ucraina Naftogaz e l’attuale fornitore, RosUkrEnergo, una nuova società voluta da Kiev. In questo quadro già abbastanza confuso si è aggiunto il giallo del doppio attentato al sistema energetico che rifornisce la Georgia. Dopo che due esplosioni hanno colpito i gasdotti che attraversano la regione meridionale della Russia, causando il taglio delle forniture di gas naturale alla Georgia e all’Armenia, anche la linea elettrica ad alta tensione che porta energia russa in Georgia è stata messa fuori uso da un’esplosione. Il presidente georgiano Saakashvili ha accusato Putin di “ricatto politico” e ritiene che ci sia la Russia “dietro il duplice attentato”. Del resto sul fronte del gas il Cremlino non fa sconti nemmeno all’amica Armenia. Malgrado sia il più fedele alleato di Mosca nel Caucaso, l’impoverita Repubblica ex-sovietica alle prese con enormi problemi di sviluppo dovrà pagare dal primo aprile il doppio per il metano russo: 110 dollari invece di 56 per ogni mille metri cubi. Che Gazprom stia esagerando con Paesi d’orientamento filo-occidentale come Ucraina, Georgia e Moldavia si capisce ma è curioso che finora soltanto la Bielorussia, legata a Mosca per scelta del dittatoriale presidente Alekandr Lukashenko, abbia ottenuto di comprare per un altro anno il metano al vecchio “fraterno” prezzo di 46 dollari. E nel frattempo Gazprom va avanti.

Puntando ora sull’Uzbekistan, dove vorrebbe mettere le mani sui più grossi giacimenti di gas offrendo in cambio la protezione del Cremlino al regime dittatoriale al potere in quella Repubblica ex-sovietica d’Asia centrale.

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