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E ora Mourinho ci restituisca il premio

Alcune settimane fa assegnammo un Bamba non vero ma un semplice prebamba a Mourinho con l’impegno di riprendercelo qualora l’Inter avesse fatto tripletta. Fu una operazione scaramantica? Sì.

Alcune settimane fa assegnammo un Bamba non vero ma un semplice prebamba a Mourinho con l’impegno di riprendercelo qualora l’Inter avesse fatto tripletta. Fu una operazione scaramantica? Sì. Sentivamo che questo fosse l’anno buono. Tuttavia, dato che non si sa mai, a nostro modo facemmo gli scongiuri; e ora siamo lieti di riportarci a casa quel mezzo bamba. Onore al merito di una grande squadra e del suo grandissimo comandante, per il quale confessiamo di avere stima e simpatia anche extracalcistiche.
Quando lo vedemmo per la prima volta sul teleschermo e lo udimmo in conferenza stampa, ne fummo conquistati. Soprattutto per una battuta che, detta da un portoghese giramondo al suo esordio come milanese d’adozione, dimostrava intelligenza e finezza psicologica: non sono un pirla. Mou era qui da cinque minuti e già aveva capito tutto. Dovendo lavorare in Italia, si era preparato a puntino per viverci non da straniero.
Non si è mai rivolto a un nostro connazionale se non in italiano, imparato bene e in fretta. Segno di volontà e personalità. Proprio le due qualità che egli poi ha trasfuso all’Inter consentendole di diventare ciò che è diventata: non soltanto una formazione di ottimi giocatori, ma una squadra tutta di un pezzo e con un cervello, anzi due uguali: quello di Mou e quello di Cambiasso, clonato, che in campo trasmetteva ai compagni gli ordini impartiti dalla panchina.
A Mourinho non piace il calcio italiano perché carente di sportività, organizzato male, isterico, ingiusto negli arbitri e nelle reazioni (del pubblico e dei giocatori e dei dirigenti) ai loro errori eccetera. Il bello, si fa per dire, è che il calcio italiano non piace per gli stessi motivi nemmeno agli italiani. Solo che lui lo dice e loro no, per questo lo detestano. Da noi la schiettezza non è apprezzata. Gli allenatori nostrani si adattano all’ipocrisia diffusa e usano un lessico democristiano, rigorosamente conformistico e un po’ pretesco. Non sono stupidi, tutt’altro, ma dicono stupidaggini: Mou no. Lui è l’eccezione che mette a disagio il branco. Però non è questa la ragione delle sue dimissioni, non ci credo. Lui se ne frega degli altri, giornalisti compresi, perché basta a se stesso. Se ne va perché in due anni di permanenza all’Inter ha vinto tutto, e più di così non potrebbe fare. Se rimanesse correrebbe il rischio di fare solo peggio, perché la bravura e la fortuna sono variabili (e deperibili).
Fa bene Mou a trasferirsi in Spagna, al Real Madrid, per tentare di non annoiarsi. Finché si è giovani si combatte la noia di vivere con l’avventura. Buona avventura, amico. Ti seguiremo con interesse.
Dimenticavamo. Anche tu una piccola delusione ce l’hai data: quelle lacrime nel pieno del trionfo non appartengono allo stile del tuo personaggio ben recitato. Frutto di un normale cedimento umano o di un cedimento tipicamente italiano? Non importa.

Il fatto che anche tu, per un momento, sia stato un pirla, ci consola dell’addio.

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