Luca Telese
da Roma
La manovra era già scattata con la votazione su Monorchio in commissione di Vigilanza, martedì scorso. Un voto che era stato predisposto con grande abilità tattica da Claudio Petruccioli, un voto che non poteva avere altro esito se non la bocciatura del candidato presidente Monorchio e il ritorno in pista di un nuovo candidato (guarda caso lo stesso Petruccioli). Una nomina che lascerebbe libera la poltrona di presidente della Commissione, bella e pronta per il grande tessitore dellaccordo nella Margherita - guarda caso il rutelliano di ferro Paolo Gentiloni - grande sponsor di Petruccioli. Una manovra a tenaglia in cui, a restare stritolato è Romano Prodi, il grande nemico dellaccordo.
Insomma, un altro atto della guerriglia nel centrosinistra, che stavolta si celebra nelle stanze di San Macuto, ma che alla fine produrrebbe - ancora una volta, guarda caso - un unico risultato: lesautorazione del professore di Bruxelles, la fortificazione di una «diplomazia parallela» e autonoma di un pezzo di centrosinistra, capace di trattare per conto suo con la maggioranza. Uno scenario da guerra civile, sale sulle ferite già aperte dallo strappo Rutelli-Prodi sulla lista unica. Con il senno del poi, dunque, il voto di martedì già preparava il ritorno in pista di Petruccioli-presidente. Sul nome di Monorchio, infatti, si era iniziato a votare già cinque minuti prima dellinizio della seduta, prevista per le 19. Il primo a protestare - guarda caso - era stato Antonello Falomi, il più prodiano dei commissari del centrosinistra, che denunciava lirregolarità e leccessiva precipitazione della procedura. Il secondo era stato il leghista Davide Caparini, che chiedeva: «Come possiamo prendere in considerazione lipotesi di Monorchio se non ne abbiamo ancora ricevuto comunicazione dallassemblea degli azionisti?». Lannuncio infatti, era arrivato da un passaggio informale contenuto nella lettera di uno dei consiglieri (Sandro Curzi).
Elementi che la dicono lunga sui «rischi» e sui «vantaggi» del piano. Il centrodestra porta a casa la nomina del direttore generale, quasi sicuramente in quota Forza Italia e apre una contraddizione fortissima nellopposizione. Rutelliani e diessini, invece, malgrado il niet di Prodi occuperebbero due caselle strategiche: la presidenza della Rai e della vigilanza. Come potrebbero infatti dire no - se il nome di Petruccioli ritorna in campo - i due commissari della Quercia, Beppe Giulietti e Giovanna Melandri? Per loro tornerebbe legge il teorema Fassino («Non possiamo dire no a uno dei nostri»). Mentre il postulato di Prodi («O si discutono direttore generale e presidente insieme, oppure dobbiamo votare contro») verrebbe superato dagli eventi. Tutto deciso, dunque? No. A sinistra i nemici dellaccordo contano su un problema di merito che è anche politico: chi designa Petruccioli? Per evitare una candidatura «da destra» - ipotesi contro cui gli ulivisti si potrebbero opporre con forza - il nome dovrebbe essere vagliato nellassemblea degli azionisti (ovvero dal ministro del tesoro e dai rappresentanti della Siae). E così, per evitare che il senatore diessino si bruci per la seconda volta, occorre che al più presto che gli azionisti ratifichino la nomina. Ma qualche problema si apre anche nel centrodestra, dove Alessio Butti, il commissario di An, ricapitola così tutti i suoi dubbi: «La presidenza della commissione è sempre stata considerata un organismo di controllo: ma se Petruccioli finisce a viale Mazzini e Gentiloni si insedia a San Macuto, chi controlla lUlivo? Non sono convinto che sia un buon affare». Non solo: An, che al momento può contare con Cattaneo su un dg «vicino» al partito, si ritroverebbe con un solo consigliere (Gennaro Malgieri (nel nuovo consiglio molto più ampio). Aggiunge Butti: «Io sono un soldato: ma se vogliono che voti questa roba mi devono convincere che è un affare. Allo stato attuale io non so di nessun patto». Fra laltro non è chiaro se Fini sia parte dellaccordo o meno.
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