E tagliare due serate?

L’idea di cele­brare la tradizione musicale italiana si è trasformata in un’esibizione di tri­ste provincialismo. Non è un dogma intoccabile che le serate del Festival debbano essere cinque...

E tagliare due serate?

Della serata dell’orgoglio italiano che, almeno nelle intenzioni, avrebbe potuto piacere a Napolitano, c’è poco da essere orgogliosi. Non è dato sapere se nelle stanze del Quirinale la realizzazione concreta abbia trovato gradimento. In realtà è stato uno spettacolo modestissimo. Morandi si lanciava in continue iperboli e sfoderava tuttii superlativi del vocabolario nel tentativo di trasmettere un po’ di entusiasmo alla platea dell’Ariston, più tiepida che mai. Poteva non esserlo? Lenta, incolore, pedissequa, la sfilata di canzoni si è trascina­ta stancamente, adesso tocca a questi poi tocca a quelli. Le star interna­zionali chiamate a duettare con i concorrenti? In massima parte delu­denti, con poche eccezioni (José Feliciano tra queste). L’idea di cele­brare la tradizione musicale italiana, con citazioni da Nino Rota, En­nio Morricone e Pino Donaggio, si è trasformata in un’esibizione di tri­ste provincialismo. I nostri migliori autori meritano molto di più del rapper Shaggy che per farsi riconoscere dal pubblico ha dovuto into­nare (?) la sua Bombastic vecchia di 17 anni. E che dire di Bregovic? Se per mancanza di ambizione o più prosaicamente di fondi, non ci pos­s­iamo permettere di meglio di questi presuntissimi artisti internazio­nali, conviene evitare di mortificare il nostro patrimonio musicale. Non è un dogma intoccabile che le serate del Festival debbano essere cinque. Semmai è un diktat del Comune di Sanremo al quale la Rai ac­cetta di sottostare (a proposito, ieri sera pochissime inquadrature dei big di Viale Mazzini in prima fila). Ma è sempre più evidente che se fos­sero tre sarebbe una liberazione per tutti.

Quella di Rocco Papaleo alias Mario Monti che ha esibito la copertina del Taim doveva essere una gag. «Can this man save Sanremo?». Papaleo non ce la farà. Ci pen­serà il governo, ma purtroppo varrà per l’anno prossimo. Forse.

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