da Roma
E ora Walter gira lItalia, accompagnato da due spalle come Gandhi-Ben Kingsley, o il Grande Dittatore-Charlie Chaplin, da compagni di viaggio come Martin Luther King o Barack Obama. Che il cinema sia «la continuazione della politica con altri mezzi», Walter Veltroni ci ha abituato a pensarlo da tempo (con lui, a essere pignoli, anche il jazz, la narrativa o le figurine possono facilmente diventarlo). Ma lannuncio del tour che il sindaco di Roma inizia il 22 gennaio al teatro Mercadante di Napoli, per portare in tutte le principali città italiane la sua lezione multimediale su Che cosè la politica (collaudata a dicembre scorso allAuditorium), è più di un ennesimo tocco eclettico al portfolio del primo cittadino di Roma. È davvero, come scrive Il Tempo una «discesa in campo». Chi ha visto la lezione il 12 dicembre ha capito che non era unoperazione «accademica», ma un vero e proprio manifesto post-politico.
Ovviamente, si parte da una domanda maliziosa. Perché proprio ora, dopo anni di rafforzamento silenzioso e guerre di posizione nella sua Roma, Veltroni si impegna in un nuovo viaggio in Italia? Prima risposta: in un momento in cui Ds e Margherita sono incartati nelloperazione di vertice del Partito democratico, e in cui Romano Prodi sprofonda nella trincea assediata di Palazzo Chigi, il suo diventa di fatto lunico vero messaggio politico per il popolo della sinistra. Anche perché è il quarto passo pesante che Veltroni muove dallinizio dellanno, nella direzione che porta fuori dal suo dorato «Aventino» capitolino. Prima cè stata la dichiarazione estiva criticissima su come procedeva la costruzione del nuovo soggetto («non può essere una fusione a freddo fra Ds e Margherita»); poi quella (sottovalutata dai media) sulla possibilità di candidarsi a Palazzo Chigi (accompagnata dalla richiesta di una contestuale riforma che dia più forza allesecutivo). Infine le correzioni di tiro sulla «missione africana». Veltroni non ci rinuncia, certo: ma ora la colloca in una prospettiva meno drastica e irrevocabile. Memorabile lo scambio di battute su La7 con il giornalista Riccardo Barenghi a settembre. «Che ti ritirassi nel continente nero - punzecchiava Jena - non cho mai creduto». Risposta del sindaco, sorriso disarmante: «Ehhh... ». Nuova battuta di Barenghi: «Insomma, se fra un anno ti devo cercare al telefono, come fa il protagonista del tuo libro, che chiama se stesso nel passato, piuttosto che il prefisso di Korogocho, faccio il centralino di Palazzo Chigi!». Intanto, quel romanzo che Veltroni ha costruito con spirito calviniano e spregiudicatezza da promoter (La scoperta dellalba), a Natale diventa strenna, torna al 13° posto in classifica (sostenuto da una forte campagna pubblicitaria Rizzoli sui quotidiani). Perché Veltroni è così: lui non è più lo sponsor, ma lo «sponsorizzato». Scrive su Vanity fair, è autore di cinema, e per sentire il suo show si pagano persino 5 euro!
Così, vale la pena di studiare la struttura di questa «lezione». Non più il classico discorso da leader, ma la lectio di un oratore più simile a un Dj (o a un Vj). Veltroni in realtà dice poco, o pochissimo: ma con le parole cuce il Pantheon delle sue passioni e riscrive la sua carta di identità politica. Così, in perfetta coerenza con il dichiarato «post comunismo» apre la sua orazione con la caduta del muro di Berlino. Il sindaco-Vj ha pescato negli archivi di History Channel un docu-film con Gorbaciov e Kohl. Solo che lì lex leader sovietico è un «intervistatore» mentre il vero protagonista è Kohl. Palmiro Togliatti? Non cè. E invece cè lAlcide De Gasperi dellEuropa unita. Cè naturalmente Enrico Berlinguer, nel video epico e straziante del suo ultimo comizio (applausi a scena aperta, allAuditorium), ma uno spaziettino lo conquista persino Bettino Craxi, di cui Veltroni «riabilita» il drammatico strappo di Sigonella, indicandolo come esempio di autonomia dagli Usa. Il sindaco-Vj supera i problemi di appartenenza e identità volandoci sopra con la forza evocativa delle immagini: il veltronismo è «emozionale», «sincretico», e accattivante.
I pezzi forti? La raffica di premi Nobel: la birmana Aung San Suu Kyi, la guatemalteca Rigoberta Menchù il memorabile I have a dream di Luther King. E poi la straordinaria orazione del giovanissimo Obama per la nomination democratica. E ovviamente non potevano mancare i due Kennedy. «Jkf», con il discorso più celebre («non chiedere cosa lAmerica può fare per te...
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