«L’ho scelto per la sua storia, perché è un politico di livello e, non voglio essere ipocrita, perché è nero». Chiaro che è buona l’ultima ragione, se no non l’avrebbe circondata di borotalco: l’ha preso perché nero. Questo ha detto Dario Franceschini per spiegare come mai ha voluto Jean Leonard Touadi, nato in Congo, deputato eletto con l’Italia dei valori e poi passato al Partito democratico, come vice nella corsa per la segreteria. Ha detto proprio: «Non voglio essere ipocrita». Pensava così di essersela cavata, e di beccarsi un elogio: ma guarda com’è sincero. Al diavolo. È come dire a Touadi che è più nero che intelligente.
Scegliere uno perché è nero, è uguale - perfettamente uguale - a scartare uno perché è nero. Obbedisce alla stessa gerarchia di valori razzisti. Trasforma il colore della pelle, l’appartenenza etnica in un merito, in un punteggio. Come l’origine sociale per Stalin, il quale optava per Tizio o per Caio sostenendo: è di puro sangue proletario. Oppure lo spediva in gulag perché «di origini piccolo borghesi», e il fiuto di classe non inganna. Che fiuto è invece quello di Franceschini? Somiglia, solo apparentemente a rovescio, a quello di Joseph Arthur de Gobineau, che inventò la superiorità della razza ariana. In fondo anche Franceschini crede in questa superiorità del bianco. Il potere infatti resta saldamente in mano a chi sceglie, non certo a chi è scelto. Il padrone dice: ti voglio perché sei nero, non ho ancora avuto un nero nella mia collezione di vice. E il nero cosa deve rispondere? Grazie, buana.
Non penso affatto che Franceschini consideri i neri una razza inferiore o superiore. Non siamo mica come quelli alla Travaglio, noialtri. Non pretendiamo di studiare con la lente la psiche degli avversari. È stato un errore figlio della disperazione e del veltronismo, che sono un po’ la stessa cosa. L’obbligo di piacere, di essere sempre in corsa con l’applausometro del buonismo, conduce a queste topiche offensive. E rivela un razzismo inconscio, l’idea della perenne superiorità della casta intellettuale, la quale coopta sulla base dei valori che ritiene debbano prevalere sulla base dell’umore dei telespettatori di Michele Santoro.
Apprendiamo così che al mattino un bravo politico di sinistra consulta una tabella, non di sondaggisti, ma di studiosi del valore commerciale delle razze. Quelli ipocriti non lo ammetteranno mai, ma uno sincero come Franceschini ne fa un vanto. La sua domanda mattutina al consigliere non è qualche idea su come battere la disoccupazione o magari Bersani (per Franceschini la vittoria di Bersani coinciderebbe con la disoccupazione) ma: oggi sul mercato quanto vale un bianco? Un giallo? Uno zingaro? Un nero? Pare che oggi tiri il nero, guai però a chiamarlo «negro», perché altrimenti si diventa di destra. (Anche se, la sinistra non lo sa, ma almeno in casa latina la parola «negro» è stata riabilitata dalla négritude di Léopold Senghor).
Touadi, che è persona - non sono un ipocrita e lo ammetto - squisita e intelligente, sono certo si ribellerà a questa qualificazione razziale della sua promozione. Già le quote rosa sono a mio giudizio un’offesa al valore delle donne, le quali se sono brave non hanno bisogno di correre con un giro di vantaggio per riuscire, ma forse mi sbaglio. Adesso siamo alle quote nere.
Negli anni ’60 Nino Ferrer cantava «Vorrei la pelle nera»: era un elogio di Wilson Pickett e degli altri grandissimi musicisti di colore, avendo gli afroamericani più ritmo, più voce, più classe. Com’è cambiato il mondo. Touadi, digli di no.
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