Ecco la camorra che canta: i neomelodici affiliati ai clan

Simone Di Meo

È tutta una questione di sfumature. C’è chi «canta» perché ha deciso di collaborare con la giustizia, e allora giù pistolettate e vendette trasversali. E c’è chi canta perché s’è invaghito della camorra e dei suoi falsi valori, e allora è tutta un’altra musica: arrivano le ospitate nelle emittenti radio e tv «amiche» dei clan, fioccano gli inviti a matrimoni e cresime (fino a 700 all’anno) e, soprattutto, si susseguono i concerti di piazza, la consacrazione dei «menestrelli» delle cosche. Due li hanno indagati, uno lo volevano pure arrestare i pm antimafia di Napoli. Lo accusano di istigazione a delinquere perché nel suo «capolavoro» ’O capoclan giustifica il boss che uccide i pentiti e quelli che lo tradiscono e descrive ’o padrino né più né meno come uno sportello Caritas che aiuta le famiglie povere e bisognose: «Da bambino non ha potuto studiare, per sfortuna dovette lavorare. Si sacrificò per assicurare il cibo, alla sera, alla sua famiglia, per risollevarla dalla miseria. Questa condizione non l'ha potuta sopportare e se ha commesso errori è stato per necessità». Il gip però ha rigettato la richiesta e così Nello Liberti è rimasto a ugola libera.
Ma lui è solo uno dei tanti (troppi) del sottobosco neomelodico della «camorra song» dove furoreggiano imperdibili canzoni come ’O latitante, Il mio amico camorrista, Femmena d’onore, Core carcerato, Dint ’a stanz e l’avvocato (la traduzione a occhio e croce è «a colloquio col mio penalista»). L’elenco dei «ritornelli calibro 9» che saltano agli occhi leggendo le informative dei carabinieri di Napoli è sterminato e ha conquistato nuovi estimatori grazie ai gruppi fan di Facebook e Youtube dove ragazzi ingelatinati sorridono in foto per la gioia di mamme e figlie. Un territorio monitorato dai carabinieri fin dentro le sale di registrazione, spartiti e telecamere. Con risultati incredibili. L’aveva capito per primo il più furbo e spregiudicato e potente boss della camorra napoletana, quel Luigino Giuliano «scopritore» di Gigi D’Alessio (uscito indenne da alcune indagini) e oggi paroliere con tanto di iscrizione Siae. La malavita s’impone non solo con la violenza e il denaro, ma anche con una vincente strategia d’immagine: le foto con Maradona, le serate nei night, gli artisti di rione. Con Luigino nasce l’etichetta Forcella-music che ha sfornato più cantanti del Conservatorio di Santa Cecilia ed è l’ex padrino oggi pentito a vincere la causa (lui, il Capo dei capi che si rivolge a un tribunale) contro i produttori del film «Pianese Nunzio, 14 anni a maggio» che non lo avevano citato nei titoli di coda quale autore della colonna sonora Chillo va pazzo pe’ tte. Da allora, il mondo del «Naples gangsta» si è evoluto fino a diventare un vero ramo d’impresa della «camorra spa». Gli scissionisti di Secondigliano hanno una loro agenzia di pr che organizza cerimonie pubbliche e feste patronali come quella di Santo Stefano a Melito. E un trafficante di cocaina della stessa zona, tale Di Pietro, coinvolto in un’inchiesta del 2001, s’era inventato una casa discografica che aveva in scuderia parecchi neomelodici organizzando un concerto online con Katia Ricciarelli. Si chiamava «Mast music» perché ’o mast (il datore di lavoro in dialetto) era il soprannome del titolare all’anagrafe di camorra. Tommaso Prestieri, il boss-poeta con moglie neomelodica, sta ancora in galera perché ha fatto sparare all’ex impresario di Carmelo Zappulla che non gli aveva chiesto il permesso per l’esibizione a Scampia. La penultima volta che lo hanno ammanettato se ne stava dietro le quinte del Teatro Bellini a Napoli in attesa che iniziasse lo spettacolo di neomelodici da lui organizzato.

Una tv di Giugliano fece una cosa da Minculpop: vietò al regista di mandare in onda un video di un cantante neomelodico che inneggiava alla pace per la faida di Secondigliano: non c’era spazio per i sentimentalismi. Certo, pure di Mario Merola si diceva ingiustamente che fosse la voce dei clan, o di Frank Sinatra un tutt’uno con le famiglie americane. Ma erano altri tempi e, soprattutto, era tutta un’altra voce.

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