Cronaca locale

Ecco la cappella di Don Gius nel cuore del Monumentale

Tolto dal Famedio, il fondatore di Cl riposerà in un mausoleo adatto ad accogliere i numerosi fedeli

Il sarcofago interrato, una grande croce di bronzo leggermente inclinata, l’altare, una panca di pietra. Sulla parete poche lettere scolpite, «la nostra voce canta con un perché». Il verso finale di Povera voce, l’inno di Comunione e liberazione, la creatura di don Giussani che ora ricorderà il suo fondatore costruendo per lui un mausoleo, una nuova cappella funeraria nel cuore del cimitero Monumentale.
Note e parole, quelle, che risuonarono il 24 febbraio dell’anno scorso in un Duomo stracolmo, incapace di contenere troppa gente e soprattutto troppa emozione, mentre l’allora cardinale Joseph Ratzinger, in rappresentanza di papa Wojtyla, celebrava il funerale. Parole che ora accompagneranno l’infinito pellegrinaggio che ogni giorno rende omaggio a don Gius. Giovani, giovanissimi, mano giovani, bambini, famiglie, gente matura o semplicemente d’età. Tutti lì con un ricordo del Gius, una preghiera, magari un ex voto. Anche sei, settecento persone nei fine settimana. Troppa gente per il Famedio del Monumentale dove il sacerdote nato a Desio oggi riposa accanto ai grandi milanesi di nascita o d’adozione: Alessandro Manzoni, Carlo Cattaneo, Giuseppe Verdi, Giovanni Raboni. E allora la decisione di spostarlo. Ad occuparsene l’Associazione laicale fraternità di Comunione e liberazione che, con la firma del legale rappresentante Giorgio Feliciani, ha già presentato al Comune tutti i documenti necessari. E la non indifferente cifra di 140mila euro e rotti per ottenere in concessione per novantanove anni lo spazio necessario a costruire la nuova cappella. Nulla di faraonico anche se la cifra finale sarà davvero importante. Tre metri e mezzo per tre e mezzo nello spazio 521 del reparto X del Monumentale. In fondo al vialone centrale, dove c’è l’ossario progettato nel 1865 dall’architetto Carlo Maciachini che lo pose al centro prospettico dell’asse visivo che comincia con il Famedio e termina con il tempio crematorio. Intorno le tombe della famiglia Calegari, dei Pigni, dei Borghi, dei Bruni, dei Bernocchi. Per adornarla «fiori e arbusti, purché questi siano a essenza nana».
«Che Cristo sia venuto in questo mondo è cosa dell’altro mondo», argomentava fin dai tempi del seminario di Venegono. Una vita passata tra i giovani, affannandosi a dimostrare l’esistenza di Dio facendo ascoltare loro la musica (la Settima di Beethoven, Mozart o Chopin), interpretare la pittura, leggere i poeti. Anche quelli, come Giacomo Leopardi, considerati atei dalla vulgata cattolica. E ancora tra i giovani resterà don Giussani. Facile prevedere che davanti alla cappella, scelta apposta nell’angolo con un piccolo spiazzo davanti, saranno sempre in tanti. Magari a rileggere in silenzio pagine del Senso religioso, l’opera da cui cominciò la grande avventura del Gius.

O a cantare sottovoce, «non può morire, non può finire, la nostra voce che la vita chiede all’Amor».

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