Ecco chi è Giulio: un "socialista" che si veste da liberale

Cresciuto nel vivaio di De Michelis, è entrato alla Camera nel ’94 col Patto Segni per poi passare con Berlusconi che non ha più abbandonato. Anche se non sempre ne condivide l’ideologia

Ecco chi è Giulio: 
un "socialista"  
che si veste da liberale

Bellunesi gli avi, val­tellinese di nasci­ta, Giulio Tremon­ti racchiude in sé i due mondi: follia veneta e praticità lombarda. Im­prevedibile e contraddit­torio. Punto comune tra le sue etnie - dolomitiche le une, orobiche le altre ­è che sono entrambe alpe­stri. Dunque, testa dura.

Il Cav se l’è trovato per caso sulla sua strada. Tre­monti nuotava nel vivaio socialista di Gianni De Mi­chelis. Si era formato alla scuola di Franco Reviglio, barone rosso garofano e ministro delle Finanze nei primi ’80, tra altri gio­vanotti promettenti: Vin­cenzo Visco- futuro mini­stro pd, ribattezzato Dra­cula per la voracità fiscale - Domenico Siniscalco, Franco Bernabè, Alberto Meomartini, tuttora in au­ge e ben piazzati. Scom­parso il Psi con Tangento­poli, Giulio si candidò al­la Camera col Patto Segni nelle elezioni 1994 vinte da Berlusca. Messo piede a Montecitorio, fece il sal­to della quaglia dalla sini­stra al Cav. Un’ora dopo era ministro delle Finan­ze. Imprevedibile e con­traddittorio, appunto. Si era svolto tutto così in fretta che né Silvio, né Giu­lio pensarono di verifica­re se le loro idee erano compatibili. Che il Cav si considerasse liberale l’aveva detto in tutte le sal­se. Cosa fosse invece Tre­monti, oltre che sociali­sta, non lo sapeva nessu­no. Lì per lì, la cosa non ebbe peso perché il pri­mo governo di centrode­stra durò lo spazio di un mattino e seguirono sette anni di opposizione.

Nel­l’intermezzo, Tremonti ri­mase accanto al Cav ma si legò alla Lega, innamo­randosi- si fa per dire, per­ché è un tipo freddino ­delle libertà padane con­tro lo Stato accentratore. Scrisse pure un libro in tono: Lo Sta­to criminogeno . Un manife­sto liberale. «Bene, allora è dei nostri», si disse il Cav che pensava di avere risol­to il quiz Tremonti.

Torna­to a Palazzo Chigi nel 2001, gli affidò totalmente la cas­sa facendolo super mini­stro dell’Economia, ossia delle Finanze, del Tesoro e del Bilancio. Fu in quel 2001 che il Berlusca e il cen­trodestra cominciarono a inchinarsi a Giulietto e a consegnargli i destini del governo, della coalizione e del Paese.

Prudentemente, Tremon­ti debuttò liberista. E fece la sua cosa più berlusconia­na: abolì le imposte sugli utili d’impresa reinvestiti nell’azienda. Poi, con pada­no realismo, elargì un con­dono fiscale. Era il mercato con qualche eccesso. Uni­co neo è che, nel farlo, con­traddiceva se stesso. Una volta scrisse: «In Sudameri­ca il condono fiscale si fa do­po il golpe. In Italia lo si fa prima delle elezioni. La so­stanza non cambia: il con­dono è comunque una for­ma di prelievo fuorilegge». Giulietto decise di ignorare con la destra ciò che faceva con la sinistra e moltiplicò le sanatorie.

È nei primi anni del 2000 che getta la maschera, di­chiarandosi «colbertiano», cioè statalista col botto. Col­bert era ministro del Re So­le, - quello dello «Stato so­no io » - ed emblema dell’as­solutismo. Un uomo tutto industrie pubbliche, doga­ne, balzelli. Giulio è uomo di spirito e sembrava una boutade. Era invece il suo volto vero.

I n questa legislatura, Tre­monti non ha fatto una sola cosa di sapore liberale, la­sciando totalmente irrealiz­zato il programma di gover­no, salvo l’abolizione del­l’Ici. Grazie al cattivo carat­tere ha tenuto a posto i con­ti dello Stato, chiudendo i cordoni della borsa ai mini­steri senza distinguere tra spese essenziali e rinviabi­li. Ha esasperato ministri e Berlusconi. Ha alimentato la sfiducia nelle capacità ri­formatrici del centrode­stra.

Ora, il tremontismo ri­schia di essere la tomba del berlusconismo. Col suo ta­bù sul pareggio del bilan­cio, senza un occhio allo svi­luppo, passeremo i nostri giorni con la cinghia stret­ta, eternamente sull’orlo del burrone.

Nonostante gli impegni programmatici e le solleci­tazioni, non ha mosso un di­to per alleggerire le impo­ste. Anzi, quanto a fisco ha superato Visco, l’ex sodale dei tempi di Reviglio. Ricor­date, l’estate scorsa, l’ar­rembaggio delle Fiamme gialle sullo yacht di Briato­re?

Una scena da Malesia salgariana che ha fatto fuggi­re dalle nostre darsene le barche di mezzo mondo. Una settimana dopo era tut­to finito. Un’inezia burocra­tica era stata trasformata in una dimostrazione musco­lare. Pare che l’osceno spet­tacolo abbia causato al set­tore una perdita stagionale di due miliardi (quattromi­la miliardi vecchie lire). Non contento, Giulietto e i suoi uffici hanno piazzato al confine svizzero teleca­mere per controllare i pas­saggi in ingresso e uscita, contro esportatori di valu­ta, spalloni e valicanti vari. Una pura, e inutile, intimi­dazione da Berlino sovieti­ca che per poco non finiva col ritiro dell’ambasciatore elvetico.

Non so davvero da cosa de­rivino queste rodomontate inconciliabili con uno Stato di diritto e incompatibili col centrodestra libertario, an­ti- intercettatorio e anti-giu­stizialista. Che sia l’origine socialista di Giulio? Un’esa­gerata immedesimazione col potere a furia di fare il ministro in solitaria? O un’influenza del passato? Tremonti è stato titolare di un famoso studio tributario con clienti danarosi che cer­cavano da lui, che conosce­va ogni anfratto, rifugio dal Fisco.

Nominato ministro, è passato dall’altra parte del­la barricata, come se un la­dro­absit iniuria verbis­di­ventasse capo della Mobile. Ecco, allora, l’umano desi­derio di dimostrare che Tre­monti non si fa infinocchia­re come invece riusciva a far­lo lui con i predecessori.

Altra fissa socialistica di Giulio è ripristinare dazi. Ce l’ha con Pechino che esporta dannatamente ma senza piegarsi ai rigori Ue. C’è in questo antiglobali­smo un’eco dei lumbard .

In­vece di considerare la Cina come un’opportunità, la considera nemica. L’oppo­sto della Germania che, an­ziché farsi sommergere dai suoi prodotti, l’ha invasa dei propri e ora guida la ri­presa mondiale.
Tremonti è soprattutto un carattere. Decide di testa sua e se lo ostacolano ha le dimissioni in tasca. Le dà e le ritira a ogni Consiglio dei ministri. Ogni tanto è iperot­timista. Nel 2008 voleva una supertassa sulle banche per­ché troppo ricche. Un mese dopo, scoppiata la crisi, cor­se a finanziarle perché non fallissero. Segno che non aveva previsto nulla. Altre volte è catastrofista. Dal 2008, ripete che il greggio ar­riverà a 200 dollari il barile. Invece, siamo stati a lungo sotto i cento e ora poco più su.Insomma, un po’ dà i nu­meri.

E poi guardate che ti­po, si preoccupa tanto del caro greggio, ma è il primo ad affondare l’atomo. Da tempo è alla testa dell'anti­nuclearismo nostrano. Cen­trali troppo care, energia pe­ricolosa, le scorie non ti di­co. In questi giorni post Fukushima, impazza. Quel­lo che fa effetto è che il nu­cleare era un punto fermo del governo, e lui - che ne è magna pars - lo silura senza consultarsi con nessuno. O così, o pomì. Ministro o ami­co del giaguaro?

Finora Giulio ci ha fatto ve­nire il ballo di San Vito. Per vederlo disteso deve essere in famiglia, tra i monti di Sondrio. Ha una moglie e un figlio.

Un fratello farma­cista detto «lampadina» per la calvizie, un altro cattolico lefebvriano e una sorella ar­tista. Sostengono che tutti, senza eccezione, siano più simpatici di lui. Relata refe­ro .

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