Bellunesi gli avi, valtellinese di nascita, Giulio Tremonti racchiude in sé i due mondi: follia veneta e praticità lombarda. Imprevedibile e contraddittorio. Punto comune tra le sue etnie - dolomitiche le une, orobiche le altre è che sono entrambe alpestri. Dunque, testa dura.
Il Cav se l’è trovato per caso sulla sua strada. Tremonti nuotava nel vivaio socialista di Gianni De Michelis. Si era formato alla scuola di Franco Reviglio, barone rosso garofano e ministro delle Finanze nei primi ’80, tra altri giovanotti promettenti: Vincenzo Visco- futuro ministro pd, ribattezzato Dracula per la voracità fiscale - Domenico Siniscalco, Franco Bernabè, Alberto Meomartini, tuttora in auge e ben piazzati. Scomparso il Psi con Tangentopoli, Giulio si candidò alla Camera col Patto Segni nelle elezioni 1994 vinte da Berlusca. Messo piede a Montecitorio, fece il salto della quaglia dalla sinistra al Cav. Un’ora dopo era ministro delle Finanze. Imprevedibile e contraddittorio, appunto. Si era svolto tutto così in fretta che né Silvio, né Giulio pensarono di verificare se le loro idee erano compatibili. Che il Cav si considerasse liberale l’aveva detto in tutte le salse. Cosa fosse invece Tremonti, oltre che socialista, non lo sapeva nessuno. Lì per lì, la cosa non ebbe peso perché il primo governo di centrodestra durò lo spazio di un mattino e seguirono sette anni di opposizione.
Nell’intermezzo, Tremonti rimase accanto al Cav ma si legò alla Lega, innamorandosi- si fa per dire, perché è un tipo freddino delle libertà padane contro lo Stato accentratore. Scrisse pure un libro in tono: Lo Stato criminogeno . Un manifesto liberale. «Bene, allora è dei nostri», si disse il Cav che pensava di avere risolto il quiz Tremonti.
Tornato a Palazzo
Chigi nel 2001, gli affidò totalmente la cassa facendolo super
ministro dell’Economia, ossia delle Finanze, del Tesoro e del
Bilancio. Fu in quel 2001 che il Berlusca e il centrodestra
cominciarono a inchinarsi a Giulietto e a consegnargli i destini del
governo, della coalizione e del Paese.
Prudentemente, Tremonti
debuttò liberista. E fece la sua cosa più berlusconiana: abolì le
imposte sugli utili d’impresa reinvestiti nell’azienda. Poi, con padano
realismo, elargì un condono fiscale. Era il mercato con qualche
eccesso. Unico neo è che, nel farlo, contraddiceva se stesso. Una
volta scrisse: «In Sudamerica il condono fiscale si fa dopo il
golpe. In Italia lo si fa prima delle elezioni. La sostanza non
cambia: il condono è comunque una forma di prelievo fuorilegge».
Giulietto decise di ignorare con la destra ciò che faceva con la
sinistra e moltiplicò le sanatorie.
È nei primi anni del 2000 che
getta la maschera, dichiarandosi «colbertiano», cioè statalista col
botto. Colbert era ministro del Re Sole, - quello dello «Stato sono
io » - ed emblema dell’assolutismo. Un uomo tutto industrie
pubbliche, dogane, balzelli. Giulio è uomo di spirito e sembrava una
boutade. Era invece il suo volto vero.
I
n questa legislatura, Tremonti non ha fatto una sola cosa di sapore
liberale, lasciando totalmente irrealizzato il programma di
governo, salvo l’abolizione dell’Ici. Grazie al cattivo carattere
ha tenuto a posto i conti dello Stato, chiudendo i cordoni della borsa
ai ministeri senza distinguere tra spese essenziali e rinviabili.
Ha esasperato ministri e Berlusconi. Ha alimentato la sfiducia nelle
capacità riformatrici del centrodestra.
Ora, il tremontismo rischia di essere la tomba del berlusconismo. Col
suo tabù sul pareggio del bilancio, senza un occhio allo sviluppo,
passeremo i nostri giorni con la cinghia stretta, eternamente
sull’orlo del burrone.
Nonostante gli impegni programmatici e le
sollecitazioni, non ha mosso un dito per alleggerire le imposte.
Anzi, quanto a fisco ha superato Visco, l’ex sodale dei tempi di
Reviglio. Ricordate, l’estate scorsa, l’arrembaggio delle Fiamme gialle sullo yacht di Briatore?
Una scena da Malesia salgariana che ha fatto fuggire dalle nostre
darsene le barche di mezzo mondo. Una settimana dopo era tutto
finito. Un’inezia burocratica era stata trasformata in una
dimostrazione muscolare. Pare che l’osceno spettacolo abbia causato
al settore una perdita stagionale di due miliardi (quattromila
miliardi vecchie lire). Non contento, Giulietto e i suoi uffici hanno
piazzato al confine svizzero telecamere per controllare i passaggi
in ingresso e uscita, contro esportatori di valuta, spalloni e
valicanti vari. Una pura, e inutile, intimidazione da Berlino sovietica che per poco non finiva col ritiro dell’ambasciatore elvetico.
Non so davvero da cosa derivino queste rodomontate inconciliabili con uno Stato di diritto e incompatibili col centrodestra libertario, anti- intercettatorio e anti-giustizialista. Che sia l’origine socialista di Giulio? Un’esagerata immedesimazione col potere a furia di fare il ministro in solitaria? O un’influenza del passato? Tremonti è stato titolare di un famoso studio tributario con clienti danarosi che cercavano da lui, che conosceva ogni anfratto, rifugio dal Fisco.
Nominato ministro, è
passato dall’altra parte della barricata, come se un ladroabsit iniuria verbisdiventasse
capo della Mobile. Ecco, allora, l’umano desiderio di dimostrare che
Tremonti non si fa infinocchiare come invece riusciva a farlo lui
con i predecessori.
Altra fissa socialistica di Giulio è
ripristinare dazi. Ce l’ha con Pechino che esporta dannatamente ma senza
piegarsi ai rigori Ue. C’è in questo antiglobalismo un’eco dei lumbard
.
Invece di considerare la Cina
come un’opportunità, la considera nemica. L’opposto della Germania
che, anziché farsi sommergere dai suoi prodotti, l’ha invasa dei
propri e ora guida la ripresa mondiale.
Tremonti è soprattutto un
carattere. Decide di testa sua e se lo ostacolano ha le dimissioni in
tasca. Le dà e le ritira a ogni Consiglio dei ministri. Ogni tanto è
iperottimista. Nel 2008 voleva una supertassa sulle banche perché
troppo ricche. Un mese dopo, scoppiata la crisi, corse a finanziarle
perché non fallissero. Segno che non aveva previsto nulla. Altre volte è
catastrofista. Dal 2008, ripete che il greggio arriverà a 200 dollari
il barile. Invece, siamo stati a lungo sotto i cento e ora poco più
su.Insomma, un po’ dà i numeri.
E poi guardate che tipo, si
preoccupa tanto del caro greggio, ma è il primo ad affondare l’atomo. Da
tempo è alla testa dell'antinuclearismo nostrano. Centrali troppo
care, energia pericolosa, le scorie non ti dico. In questi giorni
post Fukushima, impazza. Quello che fa effetto è che il nucleare era
un punto fermo del governo, e lui - che ne è magna pars - lo silura senza consultarsi con nessuno. O così, o pomì. Ministro o amico del giaguaro?
Finora Giulio ci ha fatto venire il ballo di San Vito. Per vederlo disteso deve essere in famiglia, tra i monti di Sondrio. Ha una moglie e un figlio. Un fratello farmacista detto «lampadina» per la calvizie, un altro cattolico lefebvriano e una sorella artista. Sostengono che tutti, senza eccezione, siano più simpatici di lui. Relata refero .
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