Vince il candidato che non piace a nessuno. Possibile? Possibile. Per ora vince Mitt Romney, appunto: criticato, contestato, per niente amato. L’uomo che non va mai bene si sta prendendo le primarie repubblicane, in America. È l’anti-Obama alle presidenziali di novembre pur avendo praticamente tutti contro. Dicono non funzioni, poi lo votano. Dicono non vada bene per nulla, poi arriva primo in New Hampshire e in Iowa, doppietta che non era riuscita a nessuno, né a Bill Clinton, né a George W. Bush, né a Barack Obama. Dicono che qualcun altro lo possa ancora battere, però per il momento non si vede all’orizzonte nessuno in grado di farlo.
Dicono un sacco di cose, in sostanza, poi i numeri raccontano altro: la storia di un candidato che i voti li prende. Ha finanziatori, ha potere, ha il vantaggio di essere l’unico moderato in uno schieramento di repubblicani che verso l’estremo è molto variegato e frammentato. Di Mitt Romney nessuno parla sorridendo: il 39 per cento dei consensiottenuti in New Hampshire martedì sera fa a cazzotti col fatto che molti dei giornali dello Stato avessero dichiarato la loro preferenza per l’ex ambasciatore Jon Huntsman, arrivato terzo. Anche a livello nazionale la storia è la stessa. Il New York Times s’è fatto affascinare (salvo poi cominciare a prenderne le distanze) da Ron Paul, il Wall Street Journal ha scritto più volte che il candidato con il programma più interessante e potenzialmente migliore è proprio Huntsman.
Romney è una specie di reietto popolare: non gode dei favori di molti, ma esce vincente dalle urne. Ha soldi, tanti. Ha il favore del pronostico, ha il partito alle spalle. Tutto questo, però, diventa un problema: non c’è talk show politico,non c’è dibattito sul web, non c’è approfondimento radiofonico che non lo metta alla berlina. I conservatori più duri non lo sopportano: lo considerano un amico delle lobby di Wall Street e di Washington. Dicono: non è abbastanza di destra, né sufficientemente conservatore. Poi dalle altre ali del partito affondano: è un candidato legnoso e di scarso carisma, spesso cambia idea con il vento.
Lo schieramento anti-Romney è enorme, talmente grande che c’è ancora chi sostiene - e non sono pochiche se la sua volata verso la nomination diventasse scontata nelle prossime due tappe delle primarie, allora sarebbe il caso di far intervenire qualcun altro a candidarsi. Suggestione non isolata, tanto che Ron Paul, che in New Hampshire è arrivato secondo, potrebbe addirittura uscire dalla competizione all’interno del partito repubblicano e presentarsi comunque alle presidenziali da indipendente. Come a dire: piuttosto che favorire Romney, favorisco Obama. Perché accadrebbe questo: Paul toglierebbe voti da destra, erodendo così un potenziale elettorato di Romney. Potenziale, certo.
Strana storia,questa.C’è una dicotomia tra risultato elettorale e sentimento popolare. A voce, Romney è considerato non abbastanza forte, poi quando si aprono le urne diventa il più credibile. Esempio: in New Hampshire, gli ultimi sondaggi lo davano in discesa, poi il voto l’ha fatto risalire al 39%. Numeri, quindi. Che contrastano con le parole. Anche ieri, dopo la vittoria, in molti hanno detto: «Vince, ma non stravince». Come a prendere le distanze da un uomo e da un politico che va avanti per inerzia e per assenza di avversari piuttosto che per meriti propri. Sulla sua strada per la convention difine agosto in Florida ha ancora delle mine.
Una è la fede mormone, l’altra è la sua storia di capitalista a capo di un fondo di private equity, Bain Capital, che negli anni Ottanta comprava aziende decotte e le rivendeva dopo averle risanate, con misure che comprendevano licenziamenti di massa.
Romney difende il suo passato in nome della libera impresa, e dice che senza Bain quelle aziende sarebbero finite peggio. I rivali, per ora repubblicani, ma presto anche la campagna di Obama se la nomination di Romney fosse certa, lo attaccano invece come plutocrate lontano dalla gente. Un argomento che in tempo di crisi può fare presa profonda: quanto pesa lo si vedrà presto, se la campagna di Newt Gingrich manderà in onda lo spot-documentario che ha comprato, nel quale compaiono proprio gli operai licenziati da Bain Capital ad accusare Romney. E anche Rick Perry ora lo attacca da destra dandogli del «capitalista avvoltoio».
Parole pesanti, in alcuni casi l’ultima arma rimasta ad avversari che come Perry hanno fatto malissimo sul campo.
Ma un’arma potente.
Se funzionerà contro Mitt si vedrà il 21 gennaio, quando si voterà in South Carolina, un territorio teoricamente più vicino ad almeno tre candidati prima di lui, dove molti parlano male di lui, ma dove ieri aveva comunque un buon vantaggio nei sondaggi. Può vincere pure lì. E quindi andare dritto fino alla nomination. Senza piacere a nessuno, o quasi.Twitter: @giudebellis
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