Roma - Non si può parlare di asset societari e di bilanci, perché il «closing» (vale a dire la firma in calce al trasferimento di quote societarie) non è stato ancora perfezionato. Non si può parlare di giocatori da prendere o da cedere, perché il mercato è ancora aperto. Thomas DiBenedetto, futuro presidente, e Luis Enrique, neo allenatore della Roma, hanno però passato con piena soddisfazione di tutti il primo esame con i giornalisti sportivi.
Ieri a Trigoria la conferenza stampa di presentazione del nuovo management giallorosso poteva disporre del pubblico delle grandi occasioni (c’erano anche giornalisti americani, spagnoli e persino il corrispondente di Al Jazeera). Luis Enrique e «mister» DiBenedetto non hanno deluso. Il primo non ha fatto commenti tecnici sui giocatori. Si è limitato a dire che il suo sarà un modulo d’attacco: «Mi piace attaccare, mi piace fare impressione sui tifosi perché intendo il calcio come un modo per sorprendere e divertire ». «È troppo presto anche per sapere quali ambizioni permettersi- aggiunge il tecnico spagnolo - ma un obiettivo ce l’ho già: affascinare il pubblico».
Anche «mister» DiBenedetto le idee le ha chiare. Si capisce bene che a Trigoria è l’unico «alieno », con quel suo vestito grigio chiaro e una cravatta rosa che spicca sul bianco della camicia. E tutti sono preoccupati che l’« uomo nuovo» riesca subito a parlare la loro lingua. I suoi occhi vispi e la bonomia del suo sorriso, però, fanno diplomatica resistenza. Se c’è chi (ancora!) prova a sfruculiarlo sul conflitto d’interesse del suo nuovo «collega» Berlusconi («in America chissà cosa penserete di un presidente di società sportiva che si dà alla politica! »), il bostoniano di origine salernitana risponde sicuro: «Ammiro molto Berlusconi, sia per il suo successo nel calcio che per quello ottenuto in politica». E poi a chi tenta di chiedergli le stesse solite cose che si chiedono ai presidenti di squadre di calcio, DiBenedetto offre solo vaghe indicazioni di un futuro che, per quanto ancora nebuloso, promette sicure rivoluzioni. «Punteremo sul marketing- spiega l’imprenditore italo-americano - . Come già abbiamo sperimentato con successo a Boston con i Red Sox (squadra di baseball, ndr)».
«Siete convinti che solo da voi qui in Italia - aggiunge DiBenedetto - lo sport parlato abbia un ruolo predominante. Eppure anche da noi è così e il baseball entra praticamente nella vita di tutti i giorni. Esporteremo quel modello e in più mi vedrete spesso in tv, appena sarò in grado di sostenere dibattiti sul calcio giocato». Insomma la «linea manageriale » continuerà a fare il suo lavoro e si assumerà tutte le sue responsabilità, ma il presidente farà la sua parte. Il suo non sarà un ruolo di facciata: «Ho deciso di trasferirmi qui per seguire da vicino la squadra». Vivere a Roma, in fondo, è il sogno di molti americani di cultura. E Thomas DiBenedetto non vanta soltanto una profonda cultura economica (il suo core business è nelle società finanziarie di investimento in vari settori tra cui quello immobiliare e quello minerario) ma anche un grande amore per il nostro Paese.
Mentre i suoi soci andavano a fare shopping in Inghilterra, DiBenedetto sceglieva l’Italia.
Per un atto d’amore innanzitutto verso se stesso: «Il mio cognome parla per me». E inoltre ritroverà nel Paese «dove il sì suona» uno dei suoi cinque figli, Thomas jr, da poco arruolato dalla squadra di baseball di Reggio Emilia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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