Ecco dove festeggiare il Natale vuol dire rischiare la morte

In India potenziati i controlli vicino alle chiese, in Pakistan eliminati i canti e le decorazioni e in Irak vietata la messa di mezzanotte

Ecco dove festeggiare il Natale  
vuol dire rischiare la morte

Il Natale come una sfida e un atto di coraggio. In Irak e Pakistan, ma anche nei meno sospettabili India e Indonesia, la principale festività cristiana è un momento di «allarme rosso», un periodo in cui le autorità sono costrette a innalzare i livelli di sicurezza intorno alle chiese e in cui i fedeli rischiano letteralmente la vita. Da sempre fondamentalismo e terrorismo islamico vedono nel Natale l’occasione di mettere a segno attentati ad alto tasso simbolico.

Per i cristiani iracheni già quello del 2008 è stato un Natale di sangue: chiese e istituzioni cristiane erano state colpite a Bagdad, Zafaraniya e a Mosul. Dalla settimana scorsa, il governo centrale ha potenziato la sicurezza intorno ai luoghi di culto, anche in seguito al duplice attentato contro la parrocchia di Sant’Efrem e la Casa madre delle suore domenicane di Santa Caterina a Mosul, oggi la città più pericolosa del Paese. Qui, secondo l’allarme lanciato di recente, dall’arcivescovo caldeo della vicina Kirkuk, Louis Sako, è in atto una «pulizia etnica e religiosa», diventata più acuta «nell’imminenza del Natale».

A Mosul, raccontano testimoni locali, il clima è di tensione: continuano i rapimenti e le uccisioni di fedeli, le minacce ai sacerdoti e alle donne che non portano il velo. Niente messa di mezzanotte alla Vigilia. Troppo pericoloso. Le funzioni si svolgeranno tutte prima del tramonto e chissà quanti dei pochi cristiani rimasti sfideranno anche quest’anno il pericolo di un’autobomba o di una raffica di mitra.
In Pakistan, il Paese della famigerata legge sulla blasfemia che punisce con la morte chiunque offenda Maometto o il Corano, i cristiani si apprestano a festeggiare un Natale «silenzioso».

La minaccia dell’integralismo islamico è tale che i responsabili della Chiesa locale hanno deciso di eliminare recite e canti in pubblico. Non ci saranno neppure decorazioni all’esterno di case ed edifici. La comunità è ancora scossa dagli attacchi sferrati da fanatici musulmani l’estate scorsa contro i villaggi di Koriyan e Gojravvenuti; la guerra dell’esercito nazionale ai fondamentalisti, inoltre, ha scatenato una nuova ondata di attentati e il timore di nuove violenze resta alto. Le funzioni liturgiche e la messa di mezzanotte, invece, saranno regolari, ma i vescovi denunciano un diffuso «clima di paura».

In India è lo Stato dell’Orissa quello «sotto stretta osservazione». I cristiani sono vittime di un conflitto in cui si scontrano il Partito comunista indiano-maoista (Cpi-M) e il movimento nazionalista indù. La polizia ha innalzato il livello di guardia in vista del Natale, temendo si possano verificare le stesse dinamiche che hanno portato ai pogrom anti-cristiani dell’agosto 2008. Allora alcuni estremisti maoisti avevano ucciso il leader indù Swami Laxamananda Saraswati, scatenando le violenze contro i cristiani, accusati ingiustamente del delitto.

È allarme Natale anche nel Paese musulmano più popoloso del mondo: l’Indonesia. Qui la minaccia maggiore è il terrorismo islamico, attivo sotto la sigla della Jemah Islamiyah, il braccio locale di Al Qaida, che già in passato ha attaccato obiettivi «occidentali», come chiese e lanciato minacce proprio durante le principali festività religiose. Concreto, però, è anche il pericolo dell'integralismo: il 17 dicembre scorso una folla di oltre mille musulmani, con taniche di kerosene, ha assaltato la chiesa di Sant’Alberto, 30 km a est di Jakarta. La situazione è tornata sotto controllo, ma la comunità cattolica locale teme un’escalation di violenze in vista del Natale.

Sarà un Natale clandestino o comunque di basso profilo anche in quei Paesi dove vigono regimi integralisti, militari o retti da ideologie che hanno fatto della lotta alla religione un pilastro della loro sopravvivenza: Cina, Iran, Arabia Saudita, Vietnam e Nord Corea.

Tutti Stati che, sulla carta, riconoscono la libertà di fede, ma dove essere cristiani vuol dire andare incontro a discriminazioni e persecuzione. Aprirsi alla libertà di culto, in questi casi, coincide con il timore di non sollecitare in senso più ampio le altre libertà.

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