Lucio Filipponio
Una festa psichedelica, fatta di luci stroboscopiche, specchi deformanti da castello incantato, stanze dove pavimenti, soffitti e oggetti sono vittime di una prospettiva illusoria, pareti come palloni aerostatici, ragnatele di fili elastici fluorescenti. Un vero e proprio luna park dellarte. È quello che va in scena in questi giorni alla Galleria nazionale darte moderna con la mostra dedicata agli «Ambienti del Gruppo T. Le origini dellarte interattiva» (fino al primo maggio), sotto la cura di Mariastella Margozzi e Lucilla Meloni.
Prima retrospettiva alla Gnam sugli artisti che negli anni Sessanta lanciarono nellarte il concetto di interattività, costruendo ambienti «immersivi e interattivi», spazi, cioè, attivi, mobili, legati al comportamento del pubblico. Dove tutto è inaspettato e imprevisto. Dalla «Camera stroboscopica 3» di Boriani ( «è lantesignana delleffetto discoteca - dice Margozzi - con le luci stroboscopiche, gli specchi su cui riflettono i proiettori») alla «Camera distorta abitabile» di Boriani e De Vecchi (1970); dal «Grande oggetto pneumatico. Ambiente a volume variabile» del 1960, un ambiente fatto di pareti aerostatiche che gonfiandosi e sgonfiandosi imprigionano il visitatore, all«Ambiente cronostatico» (Boriani e De Vecchi, 1974), che sempre Margozzi considera «un percorso a pannelli ricurvi illuminati. Una situazione ripresa dai Luna Park per i castelli incantati».
«Lo spirito era quello dei futuristi - racconta Davide Boriani - mettere lo spettatore al centro del quadro. Per loro rimase unambizione teorica e virtuosistica. Noi lo abbiamo realizzato concretamente. Senza spettatore, che rappresenta la componente casuale, lopera non funziona e non ha senso». «I nostri punti di riferimento - avverte Giovanni Anceschi - sono stati Lucio Fontana, Bruno Munari».
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