Ecco perché il Pd non funzionerà

La decisione dei metalmeccanici della Cgil di contrastare l'accordo governo parti sociali su pensioni e welfare non è soltanto uno scontro duro con il proprio gruppo dirigente confederale a cominciare dal segretario Guglielmo Epifani. Non è neanche la minaccia di una scissione che non ci sarà mai. È qualcosa di più e di diverso. È una frattura politica che va anche oltre la Cgil e dovrebbe stimolare in tutti una riflessione meno urlata e più ragionata sul rapporto tra partiti e sindacati e tra questi e parte rilevante della società italiana.
Già in occasione della scissione nel partito di Fassino dei Mussi, dei Salvi, degli Angius segnalammo l'adesione al nuovo partito della sinistra democratica di un folto gruppo di dirigenti nazionali della Cgil. Quell'adesione era la testimonianza della natura del futuro Partito democratico, un'operazione cioè da laboratorio, con un innesto tra due culture politiche profondamente diverse che fondendosi smarrivano ogni profilo identitario scivolando così in un accordo di potere tra i gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita. Questa nostra diagnosi più volte ripetuta non è figlia di uno sciocco pregiudizio e men che meno di una stupida smania di polemica, costume, peraltro, molto diffuso nella attuale stagione politica. Al contrario quella fusione nel partito democratico di due diverse culture appare sempre più come il portato di un'offensiva di potere di alcuni finanzieri e dei loro quotidiani.
Questa offensiva può avere certamente ricadute in termini di denaro e di potere come avvenne per la tangentopoli dei primi anni Novanta quando, appunto, chi aveva ordito il disegno scellerato portò a casa il bottino dei beni pubblici svenduti. Un esempio per tutti. Il giorno prima di lasciare Palazzo Chigi nel 1994 Carlo Azeglio Ciampi firmò la licenza della seconda telefonia mobile alla Olivetti di Carlo De Benedetti e qualche anno dopo Giuliano Amato costrinse Lorenzo Necci a dare sempre a Carlo De Benedetti la rete telefonica delle ferrovie dello Stato per soli 700 miliardi da pagare in 14 anni. Dopo poco quella rete fu venduta per migliaia di miliardi. Una ricaduta di denaro, dunque, che spiega molto bene quegli interessi che erano in gioco nel ’92-94 e che puntualmente ritornano oggi con la nascita del Partito democratico ed in particolare con la candidatura di Veltroni.
Questo intreccio di interessi, però, non mobilita gli elettori dei Democratici di sinistra e dei «margheritini» sempre più stretti nella tenaglia di un populismo straccione e di un'identità negata. E la prova provata sta proprio nel rapporto tra il futuro partito democratico e i due maggiori sindacati, la Cgil e la Cisl. La storia dei rapporti tra Cgil e il vecchio Pci è troppo nota per ripeterla. È sufficiente ricordare il comune comportamento di contrasto alla riforma della scala mobile del governo Craxi del 1984 sfociata poi nel referendum e il veto ella stessa Cgil a qualunque ora di sciopero nel periodo ’96-2001, il quinquennio del governo di centrosinistra.
La Cisl nacque alla fine degli anni 40 grazie all'iniziativa della Dc di Giulio Pastore che ruppe con la Cgil di Di Vittorio diventando l'interlocutore forte del partito di De Gasperi, Fanfani e Moro. Un rapporto forte anche se decisamente più autonomo nel concreto dei comportamenti. Con questi ricordi vogliamo solo sottolineare che i grandi partiti non possono non avere influenza nel tessuto sociale di riferimento. Se l'operazione Partito democratico fosse davvero un fatto politico e non un accordo di potere non solo sarebbero attutiti i contrasti nella Cgil ma gli stessi rapporti tra questa e la Cisl dovrebbero tendere alla ricomposizione di quella frattura avvenuta alla fine degli anni ’40 tra Pastore e Di Vittorio per giungere ad un grande sindacato unitario. Ed invece mai come ora Cgil e Cisl sono tra loro lontane e nessuno pensa a fare nel mondo sindacale quella fusione che tenta di fare, invece, il partito democratico tra due culture, quella cattolica popolare e quella socialista, che restano profondamente diverse.

Insomma, ciò che non incide nel tessuto profondo della società, politicamente non esiste e finisce per essere solo una sovrastruttura di potere che scalda poco gli animi ma molto gli appetiti. E non è certamente di questo che l'Italia di oggi ha bisogno.
Geronimo

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