Ecco perché la ricerca parla sempre americano

Nino Materi

In tutti i Paesi del mondo quando c’è da «tappare» un buco di bilancio, la prima voce che viene tagliata è la ricerca scientifica. Nel pianeta c’è un’unica eccezione alla «regola»: gli Stati Uniti. Per capire perché gli Usa, da sempre, fanno incetta di premi Nobel, bisogna necessariamente partire da questa «anomalia». Un investimento in controtendenza che, tradotto in soldoni, equivale (nel solo settore privato) a 100 miliardi di dollari in più spesi ogni anno rispetto al «budget tecnologico» stanziato dai paesi europei nel loro complesso.
«Uno sforzo economico enorme - spiega al Giornale il consigliere dell’ambasciata americana a Roma per gli affari scientifici -, che rispecchia perfettamente lo spirito giovane e innovativo che anima il nostro Paese. Un esempio per tutti: il presidente Bush ha già sollecitato il Congresso ad allargare la borsa per la ricerca scientifica proprio mentre il deficit 2006 pare poter esser contenuto sotto i 300 miliardi di dollari».
Ma gli americani sono d’accordo con Bush?
«Lo sforzo dell’amministrazione Bush in campo scientifico è pienamente condiviso dalla gente. Negli Stati Uniti l’investimento nella ricerca è direttamente proporzionale alla creazione di nuovi posti di lavoro».
Ha qualche dato in proposito?
«Negli ultimi tre anni sono stati creati mediamente 121mila posti ogni mese, un trend che non ha precedenti tra le economie sviluppate».
«Seminando» in questo modo diventa inevitabile «raccogliere» una messe di Nobel. Un tradizionale dominio a stelle e strisce che, negli ultimi sei anni, ha visto assegnare agli Usa oltre la metà dei premi dalla giuria di Stoccolma.
«Uno sforzo che comunque gli Stati Uniti mettono sempre al servizio del mondo, senza preclusioni di nessun tipo. Del resto, grazie ad Internet, anche la scienza è sempre di più globalizzata».
Ma torniamo all’equazione «più scienza uguale meno disoccupazione».
«Non solo. Più scienza significa più sviluppo per l’intero sistema Paese».
Tagliare la ricerca scientifica quando la situazione economica di una nazione è critica, rappresenta quindi un errore?
«Un grave errore. L’esperienza americana insegna infatti che più si potenzia la ricerca e più ne beneficia l’economia nazionale».
Non a caso Bush ha un piano per investire nella ricerca 136 miliardi di denaro pubblico nei prossimi dieci anni: si tratta di preparare migliaia di insegnanti di matematica e scienze, di cui l’America è deficitaria al punto da «importarli» dall’India e da altri Paesi, e di concedere sgravi fiscali alle imprese che investono nella ricerca. «Il presidente considera il suo piano vitale per garantire che l’America resti all’avanguardia dell’innovazione e della competitività», sottolinea all’ambasciata americana.
A contestare la strategia Bush in campo scientifico non sono neppure i suoi avversari democratici, ben coscienti dei rischi provenienti da una concorrenza internazionale sempre più agguerrita. Ad esempio Paesi come Corea, Taiwan e Cina sono decisamente in ascesa nel comparto delle nanotecnologie; la Corea ha infatti superato Francia e Gran Bretagna, conquistando il quarto posto della classifica mondiale dei Paesi più attivi in questo strategico settore di frontiera, preceduta solo da Stati Uniti, Giappone. Secondo gli analisti, a spiegare il divario di prestazioni tra Ue, Usa e Giappone è soprattutto il diverso apporto delle imprese alla ricerca. Per Washington e Tokio, la spesa degli imprenditori in innovazione tecnologica rappresenta rispettivamente il 2,36 per cento e l’1,78 per cento del Pil, mentre in Europa si scende all’1,23 per cento e, dato ancora più preoccupante, il contributo del settore privato è in diminuzione dal 2000.

Si tratta di un problema di particolare rilievo per tutti i nuovi Stati membri e, tra i vecchi 15, soprattutto per Portogallo, Grecia e Italia: nazione, quest’ultima, in cui la spesa in ricerca e sviluppo delle imprese rappresenta appena lo 0,55 del Pil ed è molto distante dai livelli dei primi della classe (Svezia con il 2,95 per cento e Finlandia con il 2,46).

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica