Quasi uno scherzo del destino. L’attendevano in centinaia all’aeroporto di Verona. E lei, Francesca I, regina del Roland Garros, complice i problemi di traffico, è atterrata a Bologna. «Ma non c’è problema», ha detto papà Francesco. «Abbiamo aspettato tanto uno slam che possiamo rimandare di qualche ora la festa». E festa è stata, prima nello scalo scaligero, dove si sono dati convegno tv, radio e giornali, poi a Bornato, un bel paese della Franciacorta, dove i signori Schiavone vanno in vacanza.
È qui, su un campo in cemento, che la piccola di casa s’è innamorata del tennis e ha abbandonato la ginnastica artistica. Era una ragazzina. Ma già allora guardava al tennis come a qualcosa più di uno sport da praticare e basta. Per quattro anni ha coniugato la racchetta con i tasti del pianoforte. Poi la scelta definitiva. Racconta Schiavone padre, a suo agio in mezzo alla schiera di microfoni e taccuini, con un aplomb invidiabile: «Da sempre ha avuto un sogno, quello di vincere il Roland Garros, forse perché si tratta di un vero e proprio campionato mondiale sulla terra rossa. Adesso che c’è riuscita, può porsi nuovi obiettivi». Magari Wimbledon, lo slam prossimo venturo, dove potrebbe mettere a frutto il servizio in kick, il rovescio carico e le discese a rete in controtempo. E Francesca conferma al suo arrivo a Verona: «Un tempo ci facevo i pic-nic sull’erba. L’anno scorso sono arrivata ai quarti. Adesso che mi sento ancora più forte e ho un gioco più vario, chissà. Ma non voglio dire di più».
E via con le risposte a una miriade di domande: «La finale? Dura, durissima, ma esaltante. Auguro a tutti di provare emozioni così forti e belle. L’attimo più dolce? Quando mi sono distesa sulla terra rossa del Roland Garros e l’ho baciata per l’ultima volta in questo 2010. Non potete immaginare quanto sia buona. Il momento più difficile? Nel primo turno, quando mi sono trovata davvero in difficoltà con la russa Kulikova. Il complimento più bello? Quello dei miei amici che, mentre mi abbracciavano, gridavano, Franci, sei proprio tu, Franci. Cosa mi ha detto McEnroe durante l’intervista al Roland Garros? Hai una volée da favola. Ma tu scherzi gli ho risposto. E adesso? Non so cosa succederà, non sono abituata a queste situazioni. Cosa farò dei soldi? È vero che mi piacciono le macchine veloci, la Porsche e la Ferrari soprattutto. Ma con il passare degli anni ho perso il materialismo dei tempi più giovani. Farò dell’altro. Qualcosa per i miei, qualcosa per me, qualcosa in beneficenza». Un pensiero da campionessa, grande nello sport, ancora più grande nella vita.
La sua carriera è cambiata un anno fa quando ha preso coscienza di sé e ha migliorato il suo gioco in ogni fondamentale sotto la guida di Furlan e Barazzutti nella tana di Tirrenia. Fino a quel momento aveva vinto solo un torneo, a Bad Gastein nel 2007, dopo aver perso sette finali di fila. Una iattura o qualcosa di più? Lei, che non è stupida e infatti fa dell’intelligenza il suo colpo più incisivo, ha capito che avrebbe galleggiato nell’aurea mediocrità del ranking mondiale se non avesse migliorato il suo rendimento. Dietro le vittorie o le sconfitte c’è sempre una ragione. Con il nuovo team, vicino alla Federazione, ha compiuto l’atteso salto di qualità, cercato e voluto con una caparbietà particolare. E sempre la sicurezza di avere alle spalle una famiglia che non le ha mai fatto mancare il suo apporto affettivo. Una famiglia normale. Come lo è lei, l’antidiva per eccellenza, lontana anni luce dagli ammiccamenti della moda, dei brand, della bellezza artificiale. Le offrissero di partecipare a un programma di «pupe», magari «nell’isola dei famosi», risponderebbe con una smorfia o una querela.
Il crocevia della sua «nuova» carriera risale allo scorso autunno quando la Schiavone ha vinto il torneo di Mosca senza perdere un set. In quei giorni ha capito di avere margini enormi, di non avere limiti apparenti. L’autostima s’è moltiplicata. E i risultati l’hanno premiata. In Federation Cup ha conquistato la quarta finale in cinque anni. A livello individuale ha sbancato Barcellona e conquistato il primo slam della vita. Figuratevi che festa il prossimo 23 giugno, il giorno del suo trentesimo compleanno, dopo la pazza notte di ieri, con i suoi amici di sempre. «Una ciurma», secondo il suo slang. Solo un neo. Ad applaudire Nadal c’era la Regina di Spagna. Invece i rappresentanti delle nostre istituzioni non hanno avuto la voglia o la sensibilità di recarsi a Parigi per assistere a un’impresa storica. Un’occasione persa.
Per capire nel profondo Francesca, leggete cosa racconta il maestro Luca Ronzoni che l’ha avuta per qualche tempo nel Team Vavassori: «È l’atleta più professionale che abbia conosciuto. Mai una sbavatura, un momento di deconcentrazione, un attimo di rilassamento in allenamento, dalla prima all’ultima palla. Un giorno se la prese con Bolelli e Brizzi che non l’impegnavano abbastanza. O fate le cose seriamente oppure uscite dal campo, gridò ai due. Sul piano tecnico s’è migliorata così tanto che può permettersi, in un tennis senza fantasia, di andare a rete. E a rete ha fatto la differenza con la Stosur.
Basta dare un’occhiata ai numeri: 14 discese vincenti su 15, 10 su 11 nel secondo set. In campo femminile un’enormità, direi quasi un’anomalia».«Mamma mia cosa ho combinato», ha fatto cenno con le mani ai suoi fan dopo aver battuto la Stosur. Qualcosa di grandioso, cara Francesca.
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