Separazione dei beni. Che quel matrimonio non savesse da fare, lavevano già ben chiaro i tesorieri di partito. Gente che tiene i cordoni della borsa, abituata a far di conto e a valutare il successo sui risultati e non sui sogni. Tanto che, al momento di consegnare ai capoccia di Ds e Margherita la dote necessaria per convolare nel Partito democratico, scelsero la parte della matrigna. «Il Pd da me non avrà un soldo», si sfogò alla Camera davanti ai giornalisti Ugo Sposetti. Proprio lui, luomo che a «colpo di culo», come disse dopo la sciagurata estate della scalate, aveva quasi azzerato i 548 milioni di debito che rischiavano di mandare a fondo la Quercia. Un «colpo di testa» dopo trentanni di onorata carriera al servizio della ditta Pci-Pds-Ds? «Ugo - si racconta disse un giorno - a Walter non gli lascia proprio nulla. E se resta un mattone, glielo tira in testa». Walter era Veltroni e il progetto di Sposetti era già ben chiaro: dovesse fallire lunione di Ds e Margherita, con i patrimoni separati il divorzio sarebbe più semplice. E più veloce riprendere la strada alla conquista del sol dellavvenire. Lasciando perdere quegli ex democristiani dei quali chi ha passato una vita a Botteghe oscure continua a fidarsi poco. Il trucco? Costituire delle fondazioni, degli enti morali per mettere al sicuro il tesoro «rosso» accumulato dai compagni in decenni di lotte. E, soprattutto, di rimborsi elettorali e munifiche donazioni di coop e imprenditori compiacenti sempre più interessati al Capitale. Più al loro che a quello di Carlo Marx. E per questo, in molte regioni dItalia, è sempre stato meglio tenersi buono il Peppone di turno.
Nessuna comunione di beni, dunque, e il Pd nasce già al verde. Col debito monstre di 169 milioni di euro ereditato dai Ds e con la scarsa dote portata dalla Margherita. Molti soldi freschi con cui affrontare le prime spese, ma appena 19 milioni in patrimonio immobiliare. Nulla a che vedere con i 2.399 immobili per un valore di oltre 500 milioni di euro degli ex comunisti. Tutte sedi di partito? Macché. Nella lista ci sono le case del popolo, ma anche bar, fabbriche, palestre, cinema. Centinaia di immobili commerciali affittati a prezzi di mercato. Chiaro perché il tutto faccia così gola a Mauro Agostini, il tesoriere del neonato Pd. Ma è altrettanto chiaro perché lastuto Sposetti non abbia nessuna intenzione di cedere. Tanto da creare 55 fondazioni per blindare il patrimonio. Case, ma non solo visto che le fondazioni ereditano anche cimeli, documenti storici, memorie del partito. Nulla di male, se non fosse che tra i «ricordini» ci sono anche 410 opere darte, fra cui I compagni, tela di Mario Schifani ceduta alla fondazione dei beni Ds dalla sezione Trastevere a cui laveva donata lattore Gian Maria Volontè. E poi capolavori di Guttuso e Cascella.
Tutta «roba» ben chiusa nelle casseforti delle fondazioni. Paracadute creati per evitare lo sfascio il giorno del divorzio, ma al momento causa di gran litigi. Come fra coniugi che si guardino con sospetto. «Così si crea un partito parallelo», sinfuria il partito anti Sposetti. «Con questa storia delle fondazioni - disse Antonello Soro - i Ds fanno intendere di non voler rinunciare alla loro autonomia. Non si sa mai». Altra brace che arde nascosta. Per poi dar fuoco a rivalità mai sopite. «Hai detto un sacco di cazzate...» urlò in pieno Transatlantico il solitamente mite Piero Fassino al margherito Pierluigi Mantini reo di aver accusato i Ds di non versare nulla nel comune conto democratico a differenza della Margherita. «Siamo al paradosso - replicò Mantini - che molti circoli del Pd sono nelle ex sezioni dei Ds che sono diventate proprietà delle fondazioni. E così il Pd paga laffitto e finanzia la Quercia». Botta e risposta. «Mantini - gli urlò Fassino - sei un irresponsabile. Ci vediamo in tribunale». Evitando, però, di ricordargli linchiesta del Giornale che a febbraio denunciò la sparizione del tesoro della Dc: 120 immobili e un patrimonio di 35 milioni di euro, svenduto a un cinquantesimo del suo valore a un prestanome disperso in Croazia. Tra complicità e omissioni.
Normali litigi da separati in casa. Che tali, almeno per interesse, rimarranno fino al 2011. Data fino alla quale continueranno a percepire separatamente i rimborsi elettorali. Quali? Quelli delle elezioni del 2006. Ma se nel frattempo si è votato nel 2008. Non importa. Perché la legge elettorale prevede che i soldi si prendano lo stesso per cinque anni. Anche se nel frattempo sono andati tutti a casa. E così nella casse della Margherita finiranno 127 milioni di euro di rimborsi.
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