Atlante scarica le venete: "Non metteremo altri soldi"

La lettera inviata da Penati ai vertici: "Ci sono troppe incertezze per qualunque investitore responsabile"

Atlante scarica le venete: "Non metteremo altri soldi"

La risposta di Alessandro Penati all'appello dei cda di Vicenza e Veneto Banca non lascia spazio a fraintendimenti nè a ripensamenti. Il presidente di Quaestio Sgr, la società che gestisce il fondo Atlante, ha scritto ai vertici delle due ex popolari di cui è azionista unico comunicando ufficialmente che dopo i 3,5 miliardi già iniettati, «non si riscontrano le condizioni per qualsiasi ulteriore investimento nelle vostre banche da parte dei fondi da noi gestiti».

Nella lettera Penati sottolinea che nella richiesta di intervento delle due banche non sono specificati l'ammontare richiesto e se questo sia sufficiente a garantire l'accesso alla ricapitalizzazione precauzionale. Non si precisa inoltre se la Dg Comp (la direzione generale della concorrenza della Commissione Ue) intenda avanzare altre richieste. Altri punti non chiariti sono il trattamento che l'Europa riserverebbe agli apporti precedenti di Atlante (poco meno di 3,5 miliardi di cui circa 1 in conto aumento capitale), il prezzo e la quota di capitale corrispondente al nuovo apporto. Mancano, inoltre, dettagli sull'ulteriore aumento che Bce potrebbe richiedere per approvare la fusione tra i due istituti. Si tratta di «tante incertezze» che «impediscono di fatto una decisione per qualunque investitore responsabile», aggiunge Penati. Insomma, è il messaggio del presidente di Quaestio, se l'Italia è il «paziente zero» delle nuove regole europee, il medico europeo non sembra avere ben chiare le procedure. Nel documento viene inoltre ricordato che il fondo Atlante II ha già impegnato in via preliminare 450 milioni per l'acquisto della tranche junior delle cartolarizzazioni delle due banche e ogni altro investimento nei crediti deteriorati delle venete sarebbe problematici. «Le risorse disponibili sono infatti insufficienti a soddisfare le richieste di altre banche che devono vendere i loro portafogli di sofferenze». Quanto ad Atlante I, l'unico che da regolamento può investire in strumenti di capitale, in cassa sono rimasti meno di 50 milioni.

I cda di Vicenza e Montebelluna, riuniti ieri, si aggiorneranno domani. Ma al di là dell'agenda finanziaria, le ultime puntate della telenovela veneta possono riassumersi così. I due istituti la settimana scorsa hanno preso atto della promessa del ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan («non ci sarà bail-in»), e invitato a bussare nuovamente alla porta di Quaestio-Atlante che nel falò veneto ha già visto andare in fumo 3,5 miliardi. Nel frattempo il patron dell'Acri, nonchè promotore e azionista di Atlante, Giuseppe Guzzetti, dice che le fondazioni non investiranno nel fondo un solo euro in più. Idem per Carlo Messina, ad di Intesa Sanpaolo (che però ha stanziato proprio in questi giorni 12 miliardi di plafond per le pmi venete). Quindi il «boccino» è nelle mani del governo che non può permettersi né una guerra alle autorità Ue (ovvero coprire le perdite pregresse e prevedibili con fondi pubblici facendo scattare la procedura di infrazione) mentre sta ancora trattando il salvataggio di Mps, nè di scaricare altre perdite sui risparmiatori o di far scattare il bail in alla vigilia delle elezioni.

Padoan deve comunque trovare fra i 700 milioni (se la Ue concederà lo sconto chiesto negli ultimi round delle trattative dall'Italia) e un miliardo. La «questua» è appena cominciata ma i regolatori Ue, dicono a Bruxelles, vogliono chiudere la pratica veneta entro fine giugno. Inizia il conto alla rovescia.

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