La tedesca Audi, controllata dalla Volkswagen, è a un passo dalla conquista delle moto Ducati. Il passaggio dovrebbe avvenire per circa 850 milioni di euro. La rossa di Borgo Panigale è da un po’ di anni come coloro che son sospesi: vari fondi di private equity ne controllano la maggioranza alla ricerca di un acquirente che si possa prendere tutto il pacchetto. Potrebbe essere la volta buona. Il presidente della Volkswagen, Ferdinand Piëch, è un patito della Ducati.
E il suo amministratore delegato, Martin Winterkorn, proprio ieri, ha sussurrato: «Amo tutto ciò che è rosso (esclusi i conti)», come la Ferrari,l’Alfa Romeo e la Ducati.E sempre il colosso automobilistico tedesco si è portato a casa un capo del marketing e un capo del design italiani, oltre ad altri manager. Insomma, quando un pezzo storico dell’Italia viene a caro prezzo comprato da uno straniero, si levano le grida sul Paese in declino. Il caso Ducati ci insegna due, tre cosette.
1 .Il primo problema, se tale lo dobbiamo considerare, non sta nelle aziende che passano di mano. Ma semmai nelle intelligenze che vanno all’estero. Le aziende sono fatte dagli uomini che le sanno rendere grandi. Ci stracciamo le vesti per una griffe che viene venduta, per un’impresa che viene comprata da uno straniero, ma non ci rendiamo conto che il Paese è in vendita quando i loro uomini migliori decidono di andare a lavorare fuori di casa.
2 . L’Italia non è solo moda. Nel mondo la nostra meccanica è ancora considerata un’eccellenza. E se essa si coniuga con un grande marchio (Ducati, Ferrari, Brembo, Maserati, Alfa Romeo, Piaggio e così via) il suo appeal è favoloso. Gli stessi tedeschi dovettero rinunciare ad alcune loro eccellenze ( si pensi al campo della fotografia e alla rivoluzione elettronica giapponese), ma hanno saputo reinventarsi. Un’azienda che si perde non è un dramma. Lo diventa se oltre a essa non si vede altro. Cosa c’è dopo Ducati? Quali marchi sono nati negli ultimi anni? Chi sono gli imprenditori che hanno lanciato prodotti di meccanica di successo?
3. La domanda corretta da fare, in questi casi, non è quella più facile. E cioè: cosa ci resta della vecchia e gloriosa meccanica italiana? La domanda sana è: in quale settore si sta ora esprimendo il genio italico, una volta persa la meccanica? Questo è il punto. Rimanere attaccati al passato, anche glorioso, è romantico. Ma pensare al futuro è ciò che ci serve. Cerchiamo di essere più espliciti. Un signore, sempre di Bologna, Federico Marchetti, si è messo a fare un gigantesco negozio virtuale delle griffe mondiali: si chiama Yoox. È un successo favoloso: è riuscito dove tutti hanno fallito.Un’impresa che viene venduta agli stranieri fa piangere. Ma un’impresa che insegna al mondo come si fa business (è il caso di Yoox) nessuno la celebra. Un po’ di equilibrio, please. La fortuna di un Paese non si fa piangendo le aziende decotte che vanno all’estero, ma pensando di tenere belle piantate quelle che credono e investono in Italia.
4. Il caso Ducati è diverso da quello Parmalat. In questo secondo caso i francesi hanno comprato un bel po’ di cassa e un pezzo del mercato italiano. Nel caso di Ducati i tedeschi hanno comprato un sogno, un avviamento immateriale. E come nel caso Lamborghini, c’è la speranza che lo mettano in sesto anche dal punto di vista industriale.
L’Italia non ha venduto un pezzo del suo Paese. L’ha venduto tutto: nel senso dei nostri colori, della nostra abilità, della nostra storia. L’unica lezione che si può trarre è che abbiamo ancora un valore. Un grande valore. Non piangiamoci troppo addosso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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