La Bce nella morsa dei mercati

Draghi deve dare un segnale forte o l'euro può schizzare a 1,10 dollari. Un guaio per inflazione e ripresa

La Bce nella morsa dei mercati

Li ha coccolati per settimane, facendo sentire un profumo sempre più insistente di Qe 2.0. Ovvero, di una versione riveduta, corretta e ampliata del programma di acquisto di titoli partito lo scorso marzo, finora rivelatosi inadeguato nella lotta alla deflazione e come stampella per la ripresa. Dopo tante parole, il conto alla rovescia è giunto alla fine: domani la Bce dovrà scoprire le carte. Il rischio è quello di deludere quei mercati che avendo già ampiamente metabolizzato il varo di ulteriori misure di stimolo, certo non si aspettano una manifestazione di scarso coraggio da parte dell'ex governatore di Bankitalia. Il classico braccino da tennista, tanto per intenderci, non sarebbe tollerato. Di sicuro, l'Eurotower deciderà come muoversi con il conforto delle ultime stime su inflazione e andamento economico, che saranno diffuse al termine della riunione del consiglio direttivo. Dati poco esaltanti potrebbero far pendere la bilancia dalla parte di un intervento aggressivo. Anche perché, ovviamente, l'ultimo outlook della banca centrale non potrà ancora tener conto delle ripercussioni derivanti dai recenti attentati terroristici e dalle turbolenze geo-politiche. Draghi ha a disposizione un ventaglio ampio di opzioni. Le prime due sono le più logiche: allungare la durata del quantitative easing di un anno, fino al settembre 2017; e aumentare da 60 a 80 miliardi di euro l'ammontare degli acquisti mensili. L'importo può essere alzato estendendo le categorie di titoli eligibili. Non è quindi da escludere l'inclusione nel basket dei bond regionali e anche di quelli in ristrutturazione a rischio di non rimborso. Poi, c'è un'ulteriore ipotesi: agire ancora sui tassi sui depositi, così da scoraggiare le banche a parcheggiare la liquidità nei caveau della Bce e in modo da libera altre risorse per aziende e imprese. I mercati si aspettano, come minimo, un taglio di 10-15 punti base rispetto all'attuale -0,20%. Un'azione più incisiva sarebbe dunque benvenuta, ma Draghi dovrebbe con buona probabilità scontarsi con la Bundesbank, già riluttante ad estendere il Qe e ancor più insofferente nel ritoccare verso il basso rendimenti che stanno mettendo in crisi le potenti banche regionali tedesche. Resta dunque da vedere fino a che punto il numero uno dell'istituto di Francoforte vorrà forzare la mano. I numeri, all'interno del board, dovrebbero essere dalla sua parte. E del resto, il 40% dei bond sovrani europei ha oggi un tasso negativo, spesso al di sotto di quel -0,20% che è la soglia limite di acquisto per la Bce. Ciò lascia intuire una misura di aggiustamento forte. In caso contrario, i mercati potrebbero reagire con il classico sell on news e l'euro rischierebbe di riportarsi rapidamente verso quota 1,10 dollari, complicando la missione anti-deflazione e l'azione a protezione della crescita. C'è tuttavia un'incognita. Di recente, Goldman Sachs ha rivisto la propria posizione ribassista sull'euro. E non certo per il timore che la Bce non si muova, ma piuttosto perché scommette che sarà la Federal Reserve a non alzare i tassi il prossimo 16 dicembre, come peraltro suggerito ieri da Charles Evans, presidente della Fed di Chicago. L'alibi è bell'e pronto: le tensioni geo-politiche.

In realtà, sarebbe una non-manovra a protezione della Corporate America, che nel terzo trimestre ha visto calare i fatturati sui mercati europei. Segno che gli Usa non si possono permettere il lusso di un biglietto verde ancora più forte.

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