Siamo tutti colombe. Anche alla Bce, d'improvviso stretta attorno alla bandiera di quelle misure non convenzionali che fino a poche settimane fa suonavano come una bestemmia alle orecchie dei sacerdoti della moneta di Francoforte. Il grande salto nel mondo del QE è a un passo, ma non è ancora il momento per compierlo. Resta in stand by, l'Eurotower: fermi i tassi di riferimento allo 0,25%, ancora a zero quelli sui depositi; dal cilindro non spunta neppure una Ltro british style, quella con cui l'Inghilterra ha evitato che la liquidità extra fosse fagocitata dalla banche; non c'è neppure il varo di un allentamento quantitativo, seppur in salsa europea. Nulla di nulla, tutto come prima. O quasi. E quel quasi fa la differenza, alla luce della picchiata dello spread a 165 punti, ai minimi dal 2005, e della corsa agli acquisti scattata nelle Borse, in particolare a Piazza Affari (+1,38%, poco sotto la soglia psicologica dei 22mila punti).
Già. Rispetto alle puntate precedenti, lo speech di Draghi contiene novità di sostanza per i mercati. La prima riguarda la raggiunta coesione all'interno del board, in passato spaccato tra falchi e colombe, sugli strumenti di intervento. Il consiglio «è unanime sulla possibilità di utilizzare tutti gli strumenti nell'ambito del proprio mandato, anche quelli non convenzionali, per contrastare la bassa inflazione: è tutto incluso, anche un quantitative easing», ha spiegato. La seconda rimanda a quale tipo di QE stia pensando la Bce. Più che all'acquisto di bond sovrani, si punta «a un programma di allentamento quantitativo basato sul debito privato». Come peraltro vuole il capo della Bundesbank, Jens Weidmann. Altri desiderata non sono ammessi. Velenosa, infatti, la frecciata di Draghi al Fondo monetario: «Recentemente il Fmi è stato estremamente generoso di suggerimenti su quello che dovremmo fare. Potrebbe essere altrettanto generoso con altre istituzioni. Potrebbe, ad esempio, dare indicazioni alla Fed il giorno prima del vertice del Fomc».
Anche se l'istituto continuerà a lavorare nelle prossime settimane per meglio calibrare quale provvedimento adottare, la strada sembra già tracciata. Ciò dipende dalla differenza che ci separa dagli Usa, dove la maggior parte dei finanziamenti all'economia passa attraverso il mercato dei capitali. Nell'Eurozona, al contrario, è il canale bancario a far la parte del leone e dalla sua salute dipende «l'effetto finale di queste misure». Anche per questo, «sono cruciali» la valutazione complessiva dei bilanci bancari e gli stress test.
L'idea di QE maturata dall'Eurotower prevede quindi di rigenerare il mercato degli Abs, i titoli garantiti da sottostante in mutui o prestiti. «Se riusciamo - ha spiegato Draghi - ad avere una corretta prezzatura e un buono scambio di questi tipo di asset, come succedeva in passato prima della crisi, avremo naturalmente a disposizione un pool molto grande di asset».
Sulla tempistica dell'intervento la Bce mantiene le carte coperte, mentre si tiene monitorato l'andamento dell'inflazione. Quella di marzo (0,5%) «è stata una vera sorpresa.
Insomma, si aspetta con ansia il periodo pasquale per addolcire quel retrogusto amaro di deflazione che va diffondendosi nell'Eurozona. Siamo tutti colombe. Anche alla Bce.
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