Bomba a scoppio ritardato per le banche italiane

Il credit crunch ha inceppato il motore dell'economia che innescato la spirale delle sofferenze

Camilla Conti

Sulle banche italiane l'impatto dello tsunami Lehman Brothers è arrivata a scoppio ritardato. Ma l'onda lunga ha stravolto il sistema del credito per sempre. Ha modificato sia la banca come luogo fisico, sia il credito come motore della crescita economica.

Qualche numero: prima del crac del 2008 in Italia c'erano 800 banche. Alla fine dell'anno scorso il totale - complici fusioni, aggregazioni e le riforme su Bcc e Popolari - è crollato a quota 538. Al 31 dicembre 2018 saranno 110. Dal picco assoluto toccato proprio nel 2008, a quota 34.000, il numero degli sportelli nel 2017 è sceso a 27.358. Entro il 2019, secondo le stime del sindacato, saranno chiuse altre 3mila filiali bancarie. Prima disseminate a ogni angolo di strada, stanno sparendo anche dai piccolissimi centri mentre nelle grandi città con lo sviluppo dell'home banking si sono trasformate in grandi agorà di servizi rivedendo anche l'offerta di prodotti finanziari con un focus sugli assicurativi.

Come ci si è arrivati? E perchè? Dipinto per troppo tempo come un piccolo mondo antico, ma capace di galleggiare nella tempesta perchè meno esposto con i titoli tossici stranieri, il sistema bancario ha iniziato ad accusare il colpo tra il 2010 e il 2012 il mercato ha cominciato a temere che l'Italia non fosse più capace di rimborsare il suo debito pubblico. Travolgendo anche chi, di questo immenso debito, è il principale acquirente: le banche italiane. Con la crisi di sfiducia sono schizzato in alto i tassi di interesse a cui lo Stato e gli istituti di credito si finanziano sul mercato. Questi ultimi a loro volta hanno scaricato questi costi sui loro clienti innescando il cosiddetto «credit crunch», la stretta creditizia, che ha fatto inceppare il meccanismo del supporto all'economia reale italiana, tradizionalmente bancocentrica. Le imprese abituate a prendere in prestito i soldi allo sportello si sono ritrovate sotto choc ma il problema dei debitori (famiglie e imprese) si è trasformato in un problema per i creditori ovvero le stesse banche che hanno visto lievitare i crediti deteriorati nei bilanci. La bolla delle sofferenze è così esplosa tra il 2013 e il 2015, l'anno più critico con un fido su cinque non rimborsato. Nel frattempo, a novembre 2014, a vigilare sulle big del credito è arrivata la Bce di Mario Draghi, che nel 2008 sedeva già da tre anni in Bankitalia. Mps ha rischiato di fare la fine di Lehman, diventando poi Monte di Stato, la Pop Vicenza e Veneto Banca sono state salvate da Intesa Sanpaolo dove il grande vecchio della finanza Giovanni Bazoli ha messo il timone in mano a Carlo Messina e l'Etruria da Ubi con interventi di «sistema».

Mentre il francese Jean Pierre Mustoer ha trovato 13 miliardi per Unicredit chiudendo con successo il più grande aumento di capitale della storia borsistica italiana, nonchè uno dei più grandi a livello europeo.

Le banche italiane avranno imparato la lezione?

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