Brasile in retromarcia tra inflazione e scandali

Brasile in retromarcia tra inflazione e scandali

Rio de Janeiro« É bagunça mesmo » si dice in Brasile. Tradotto letteralmente sarebbe «è proprio un casino». Si usa anche troppo spesso, ma stavolta i fatti parlano chiaro e i numeri ancora meglio. L'agenzia di rating Fitch ha da poco abbassato il rating a lungo termine del Brasile a «negativo» da «stabile». Secondo l'agenzia Usa il quadro macroeconomico del Paese sta peggiorando, gli squilibri sono sempre maggiori, il debito aumenta e le finanze pubbliche si deteriorano. A dire il vero la Banca centrale del Brasile qualcosa del genere lo aveva lasciato intendere a febbraio tagliando le prospettive di crescita del Paese per quest'anno e 2016. Non solo. L'Istituto nazionale di geografia e statistica (Ibge), che calcola l'indice ufficiale dei prezzi, ha scoperto un altro nervo sensibile mostrando al mondo intero che l'inflazione è alle stelle e che il Paese che ha appena organizzato i Mondiali di Calcio e sta per ospitare le Olimpiadi, ha smesso di essere un'economia appetibile. L'Ibge ha registrato un incremento dell'1,32% a marzo rispetto all'1,22 di febbraio: Un dato che su base annuale significa 8,13%. È il maggior incremento dal dicembre del 2003, quando l'inflazione era del 9,3%.

Ultimamente, dunque, nessuna buona notizia per Dilma Roussef, che ha fatto giusto in tempo a festeggiare la sudata e risicata conquista del secondo mandato presidenziale, prima di scontrarsi con la dura realtà dei fatti. Il Brasile vive un momento storico difficile. L'economia arranca, la politica pure e il popolo non perde occasione per scendere in piazza a manifestare. La popolarità di Dilma e del Pt, il partito dei lavoratori, è andata scemando insieme a quella dell'ex presidente Lula, artefice del miracolo brasiliano. Le imponenti manifestazioni del 15 marzo e del 12 aprile scorso, in tutto il Brasile, lo hanno dimostrato: non una bandiera politica in piazza e nemmeno l'ombra di un oggetto contundente. Il 2013 è lontano, per strada non ci sono più i black-block, ma famiglie, giovani e anziani vestiti verde oro. Classe media: scende in piazza un Paese diverso, arrabbiato tanto quanto prima, ma più giudizioso e razionale.

Questa edizione del Brasile ha protestato pacificamente contro gli affari sporchi e gli inganni della politica e del mondo imprenditoriale, messi in ginocchio dal più grande scandalo della storia del Brasile: l'inchiesta Lava Jato. Fuori Dilma e il Pt, questo lo slogan principale. Fuori i corrotti dal paese. E i corrotti sarebbero tutti quei signori e signorotti di cui la magistratura ha diffuso nomi e volti scoperchiando uno schema di appalti truccati e riciclaggio di denaro sporco. In mezzo sono finiti pesci grossi dell'imprenditoria e della politica, vicini al Pt e alla presidente Dilma. L'inchiesta, aperta a marzo 2014, era partita con l'obiettivo di smantellare un'organizzazione criminale che usava una rete di autolavaggi per movimentare fondi illeciti. Ma a furia di investigare gli inquirenti sono arrivati alla maggiore impresa statale del paese, la Petrobras, e hanno scoperto che il volume di fondi deviati dalle sue casse ammontava a miliardi di reais. È emerso che per 10 anni le grandi imprese si organizzavano in cartelli e pagavano mazzette a esecutivi della Petrobras e funzionari pubblici per ottenere appalti. Il valore delle mazzette variava dall'1 al 5% del totale dei contratti miliardari superfatturati che la Petrobras stipulava. I magistrati sono arrivati a bussare anche alla porta di alcuni politici, 55 per l'esattezza, tutti legati a partiti con il potere di indicare i direttori della Petrobras. «Lula e Dilma sapevano tutto», ha rivelato l'operatore finanziario Alberto Youssef chiamato a testimoniare.

Ma fino ad ora nessuna prova di un coinvolgimento diretto del presidente. Ma Dilma è in difficoltà e sa che il carico da 90 deve ancora arrivare. Il tutto a meno di 500 giorni dalle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Dove molti lavori procedono a singhiozzo. « É bagunça mesmo ».

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