Giuseppe Cossiga: "Con papà litigavamo solo su Sardegna e Palestina"

L’ex sottosegretario ed esperto di Difesa Giuseppe Cossiga si racconta. "Non mi sono mai spiegato perché fosse di sinistra"

Giuseppe Cossiga: "Con papà litigavamo solo su Sardegna e Palestina"

Giuseppe Cossiga, 62 anni, non è solo il figlio dell'ex presidente della Repubblica. Nella sua vita ha fatto molte cose: il dirigente di importanti aziende, il parlamentare per 12 anni, il sottosegretario alla Difesa per cinque, durante uno dei governi Berlusconi. Oggi è il presidente dell'Aiad, la federazione che riunisce tutte le aziende di aerospazio, difesa e sicurezza.

Lei è un figlio d'arte e ha un cognome impegnativo...

«Beh, è più impegnativo il nome: Giuseppe, il marito della Madonna».

Il cognome però è più raro: è stato un peso o l'ha agevolata?

«Io il cognome ce l'ho da sempre, da prima che mio padre diventasse famoso. Quindi il cognome non è solo di mio padre, è anche mio. Se devo fare un bilancio, beh, problemi non me ne ha dati forse qualche vantaggio».

Partiamo dalla terra. Cosa rappresenta per lei la Sardegna?

«Guardi lì sul muro, la vede quella bandiera? È la bandiera della Sardegna, i quattro mori. Non credo che lei tenga appesa al muro la bandiera di Firenze».

Ma lei non ha vissuto molto in Sardegna.

«Ci ho vissuto tutta la vita. Le spiego: mi sono trasferito a Roma quando avevo cinque anni, ma casa mia non era Roma, casa mia è sempre stata Sardegna. Vivevo in una Sardegna mitica tutta racchiusa in un appartamento».

Me la racconti questa Sardegna portatile

«Già nel lessico familiare era Sardegna. Si diceva: noi' e loro. Noi sardi, loro continentali. Era proibito comprare sale, riso e altri prodotti che venivano dal Continente. Ci facevamo spedire tutto da Sassari. Arrivavano valigie piene di sale. Ho vissuto da sassarese distaccato in Italia».

Perché sassarese e non sardo?

«Non è esattamente la stessa cosa».

Quindi emigrati?

«No. Non eravamo emigrati. Eravamo gente che aveva deciso di governare l'Italia».

Lei parla ancora con un netto accento sardo.

«Non sarei sopravvissuto se avessi parlato romanesco in casa mia».

È vero che lei ama collezionare soldatini di piombo?

«Mio padre li collezionava. Molti. Alcuni anche molto brutti».

Era esperto?

«No. Non avrebbe distinto un soldato di Napoleone da un legionario romano. Però gli piaceva collezionarli».

Lei è il presidente dell'Aiad. L'aerospazio è una sua passione da sempre?

«Sono ingegnere aeronautico».

Come nasce questa passione?

«Nella Sardegna del 1967 mia madre pilotava aerei dell'aeroclub di Alghero. Nel '67 le donne che pilotavano aerei non erano molte».

Scusi, ma mentre parla, lei sta disegnando missili

«Lo faccio per concentrarmi».

Capisco. Qual è il futuro della difesa europea?

«Perlomeno per i prossimi cinque o dieci anni l'interesse di massa per la difesa crescerà. Questa è anche l'occasione per riuscire a parlare di difesa, di forze armate e di armamenti, come in questo Paese non si è mai fatto».

Perché?

«Prima di tutto perché l'Italia ha perso la guerra. E poi perché è stata governata per cinquant'anni dalla Democrazia cristiana, insieme alla Chiesa cattolica, in presenza di un fortissimo Partito comunista. Le armi erano un tabù che, se dovesse cadere, sarei contento».

Giusto il riarmo?

«La gente non ha capito quello che sta succedendo in Ucraina. Se lo capisse non parleremmo neanche di riarmo. Qui non c'è da riarmarsi, c'è da armarsi».

Lei è stato sottosegretario alla Difesa. Secondo lei nei ministeri si preferisce avere politici esperti, come lei, o politici burocrati?

«Più è alto il grado di quello che parla con te, più c'è insofferenza se tu sei esperto».

Lei ha mai avuto la sensazione di essere scomodo?

«Sì, due o tremila volte».

Mi racconti un episodio.

«Una volta da sottosegretario mi sono trovato di fronte a un contratto di acquisto di aerei ad elica, gli Atr, che era fatto coi piedi. Lo smontai. E i tecnici del ministero mi ribatterono: Con tutto il rispetto, sono cose da esperti. Spiegai loro che io per dieci anni della mia vita avevo venduto Atr e che li conoscevo pezzo per pezzo Non la presero bene».

Quali sono i valori che le sono stati trasmessi da suo padre?

«Beh, la risposta pronta la conosce: Dio, Patria e famiglia (e ride, ndr). No, no, non è così. Mi ha insegnato l'onestà, il rispetto, e l'agire secondo coscienza. Mio padre era un cattolico liberale. E quindi credeva che all'interno di Santa Romana Chiesa ognuno rispondesse a Dio secondo la propria coscienza».

Lei a poco più di 20 anni si è trovato ad avere il papà presidente della Repubblica. Cosa è successo?

«Nakba. È un termine arabo usato dai palestinesi. Disastro».

Perché?

«Ci sono stati due momenti difficili nella mia vita. Il primo è quando rapirono Moro. Avevo 15 anni e non potevo uscire di casa. Mi proibirono anche di avvicinarmi alle finestre. Il secondo è quando mio padre fu eletto al Quirinale. Ero sotto assedio. Ho maturato allora un altra mia caratteristica. La pazienza».

Andava spesso al Quirinale?

«Solo due volte. Alla cerimonia di inaugurazione e una volta perché dovevo fare fotocopie. Dissi all'ingresso che ero il figlio del presidente e dovevo fare delle fotocopie. Mi presero per uno squilibrato. C'è mancato poco che mi buttassero fuori a calci...».

Militarista o pacifista?

«Pacifista. Chi contribuisce alla costruzione di armi di difesa, costruisce la pace».

Suo padre era pacifista?

«No, mio padre era democristiano, una cosa più complessa».

Che figura ha rappresentato per lei Silvio Berlusconi?

«Una persona che mi è sempre piaciuta anche dal lato umano. Che mi ha permesso di vivere una esperienza esaltante e molto formativa, un uomo che ha cambiato la storia politica di questo Paese. È stato un rivoluzionario».

A casa vostra era proibito dire le parolacce?

«Sì, ma esclusa l'estate. Quando chiudevano le scuole potevamo dire quel che volevamo».

Suo padre diceva parolacce?

«Una volta, eravamo a pranzo. Squillò il telefono e sentii mio padre dire: Ciriaco, adesso mi avete rotto i coglioni».

Lei è di destra, sua sorella è di sinistra. E suo padre?

«Era di sinistra. Dc di sinistra».

Litigavate?

«A pranzo a casa mia era uno spettacolo. Litigavamo su due sole cose: federalismo e autonomismo sardo. E poi la Palestina. Io ero vicepresidente dell'associazione Italia-Palestina».

In quali valori eravate diversi?

«In nessuno. Perciò non mi sono mai spiegato perché mio padre fosse di sinistra».

La grandezza di suo padre è stata compresa da tutti?

«Beh, intanto bisogna capire se è stata compresa da me».

È stata compresa?

«Io ho compreso la grandezza di mio padre. Ma lei sta parlando di Cossiga. Io sto parlando di mio padre. Sono due cose diverse».

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