La bufera svizzera fa altre vittime

Deutsche Bank e Barclays nei guai, insolvente il broker Alpari. E il «Qe» si avvicina. Coeuré (Bce): «Sarà ampio»

È una sorta di nemesi quella che ha colpito la Svizzera: abituata a scandire una vita senza sussulti col ticchettio dei suoi orologi, la Confederazione si è trovata d'improvviso a fare i conti con le scosse provocate da un timing giudicato sgangherato. Quello con cui la Banca nazionale, giovedì scorso, ha dato l'addio alla liaison forzata tra franco ed euro, provocando uno sconquasso valutario, borsistico ed economico senza precedenti e di cui, ancora, si fatica a calcolare l'impatto.

Ubs, tra le più solerti nell'esercizio spesso accademico delle stime, ha stabilito che quest'anno il Pil crescerà di uno striminzito 0,5%, il che significa 1,3 punti percentuali sacrificati sull'altare del super-franco rispetto alla previsione precedente. Ieri il rapporto con l'euro è ripiombato sotto la parità (a quota 0,988). Allarme doppio, considerato l'andamento borsistico da infarto, con la Borsa di Zurigo impallinata da un altro -6% dopo il crollo precedente dell'8,7%. È un collettivo mettersi le mani nei capelli di fronte alle macerie provocate da una mossa che per la Confindustria rosso-crociata è «incomprensibile». Non la sentono neppure, gli svizzeri, la carezza di Standard&Poor's, secondo la quale il rating AAA- di Berna è sicuro e le prospettive stabili. Il rating è una cosa, ma poi quando fai l'imprenditore devi misurarti con la realtà che trovi fuori dai confini cantonali. E l'export facile, quello garantito dal cambio fisso a 1,20, rischia di essere solo un bel ricordo.

Anche perché sulla Corporation Svizzera incombe il quantitative easing della Bce, che giovedì prossimo Mario Draghi annuncerà, come un papa laico, urbi et orbi , probabilmente forte delle rassicurazioni ricevute tre giorni fa durante l'incontro con la cancelliera Angela Merkel. Sul QE ormai non ci sono più dubbi. Gli ultimi se li sono portati via le parole di Benoit Coeuré, uno dei componenti il board dell'Eurotower: il 22 gennaio «terremo conto delle esperienze di Usa e Regno Unito per determinare l'ammontare di debito da acquistare per ristabilire la fiducia e riportare l'inflazione a un livello inferiore ma vicino al 2%». Resta da stabilire l'entità dell'intervento, che comunque - rassicura Coueré - «perché sia efficiente, deve essere grande». Mille o più di mille miliardi, altro che quel «braccino corto» da 500 miliardi indigesto ai mercati. E sulla misura extra-large le Borse hanno trovato forza per correre anche ieri (+2,18% Milano), con la spia dello spread Btp-Bund che si è affievolita a 126 punti fino a spingere il tasso del decennale al minimo storico dell'1,66% e con l'euro poco sopra gli 1,15 dollari.

La sola incognita riguarda le modalità d'intervento di Francoforte, ma secondo Der Spiegel saranno le Banche centrali nazionali ad accollarsi i rischi del bazooka, con un tetto massimo pari al 20-25% del debito di ogni Stato. Un meccanismo che terrebbe la Germania al riparo da qualsiasi tipo di pericolo e, al tempo stesso, impedirebbe a Paesi come la Grecia, privi dei requisiti imposti dalla Bce, di poter beneficiare del piano.

Il conto alla rovescia è cominciato, mentre non è solo la Svizzera a far la conta dei danni causati dalla cancellazione del plafond franco-euro.

Tra le vittime, figurano anche Deutsche Bank, che avrebbe perso 150 milioni di dollari nella sola giornata di giovedì, e Barclays (100 milioni). E non solo. Il titolo di Fxcm, il più grande broker valutario retail in Usa e Asia, già nel pre-mercato cedeva l'86%. Peggio è andata all'inglese Alpari, che ha alzato bandiera bianca dichiarando l'insolvenza.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica