L'uscita di scena del direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano apre la partita sul futuro del gruppo editoriale. E su possibili nuovi assetti azionari: lo dice anche la Borsa, dove in due giorni il titolo è balzato del 20%.
Confindustria controlla saldamente il Sole con il 67,5% del capitale; il restante 30%, al netto di un 2,5% di azioni proprie, sta sul mercato. Il gruppo deve però affrontare un aumento di capitale ormai obbligatorio per legge, essendo il patrimonio diventato negativo. Si parla di una cifra che ieri l'ad Moscetti ha definito «più vicina a 50 che a 100 milioni». Se dunque, anche per dare resistenza a un bilancio che brucia 4-5 milioni al mese, che ha un indebitamento bancario di 50 milioni e che sta per mettere in cantiere oneri straordinari, si ipotizza una cifra di almeno 70 milioni, Confindustria farebbe un po' fatica. Nel suo bilancio c'è una riserva fondi storici di 50-55 milioni, che in ogni caso non può essere prosciugata. Almeno 20 sono considerati di «funzionamento». Mentre altre strade sarebbero quelle di effettuare operazioni immobiliari sulla sede dell'associazione all'Eur. Ma se gli industriali puntano a non rischiare tutti i gioielli di famiglia sulla ricapitalizzazione del Sole, la possibilità che i soci di minoranza aumentino il loro peso fino alla soglia del 45-50% permetterebbe di mantenere la maggioranza al 50-55%, limitando l'impegno a circa 35 milioni. Ciò però implica che il mercato metta sul tavolo gli altri 35 con un cambio della governance, che oggi impedisce a chiunque, tranne Confindustria, di detenere azioni ordinarie, mentre quelle di categoria speciale hanno il limite del 2% del capitale.
In questo quadro il presidente Vincenzo Boccia deve trovare il consenso degli associati, sotto choc dagli avvisi di garanzia arrivati al Sole venerdì scorso. L'appuntamento è per il 23 marzo, al Consiglio generale convocato ad hoc che si preannuncia infuocato. Non è escluso che Boccia chieda alle territoriali più ricche di partecipare direttamente all'aumento. Ma in questo caso dovrà far loro concessioni, sulla governance o sul direttore.
Poi ci sono le banche, guidate idealmente da Intesa e dal suo ad Carlo Messina: devono dare a Moscetti l'ok al piano e all'aumento, senza il quale non si può approvare il bilancio 2016 e il commissariamento resta un'opzione. Si sa che non sono disponibili a trasformare debito in equity (lo ha ribadito ieri lo stesso Moscetti) ma potrebbero entrare nel capitale. Anche in questo caso, però, chiederebbero una contropartita. Infine c'è l'ipotesi cordata: sembra che Luigi Abete e Marcella Panucci, i due consiglieri più decisi a difendere Napoletano, rappresentassero da tempo il fronte di un gruppo di imprenditori di «area romana» pronti a investire nel Sole. Di questi il più gettonato, Francesco Gaetano Caltagirone, ha fatto sapere proprio in queste ore di voler stare fuori da ogni ipotesi di investimento azionario nel Sole, «di minoranza o di maggioranza».
Ma non è detto che una cordata sia tuttora in via di formazione: l'ultima ipotesi è che scenda in campo Mediobanca con Andrea Bonomi, già impegnate lo scorso anno nella battaglia (persa) oper Rcs. Sempre contro Intesa, naturalmente. Quindi, se Boccia non avesse le risorse per agire in piena autonomia, dovrà trattare. E ogni ipotesi implica assetti e direttori alternativi. Sarà una bella partita.
Che Moscetti ha già iniziato a giocare, bocciando un bel po' di candidati, a cominciare dall'ex direttore Ferruccio de Bortoli, sostenuto senz'altro da Intesa: «Esprimo un mio parere personale: sarebbe preferibile individuare una persona che non ha mai lavorato nel gruppo a nessun titolo».
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