La centrale più alta del mondo: Enel porta la luce nel deserto

In Cile, a 4.500 metri, via al primo impianto geotermico del Sudamerica. Condiviso con le popolazioni indigene

La centrale più alta del mondo: Enel porta la luce nel deserto

A pochi chilometri dal confine con la Bolivia, Ollague è l'ultimo villaggio cileno, a 3.800 metri di altezza, nella regione di Antofagasta. Ci vive da sempre una comunità indigena andina del Popolo Quechua. Qui è nata 62 anni fa Francisca Sanchez Vilca, che di mattina, attraverso lo sterrato della Ruta 21, percorre 90 chilometri in direzione sud e raggiunge il campo base della centrale geotermica Enel di Cerro Pabellón: una vera e propria cittadella, fatta di prefabbricati, che a 3.600 metri di altitudine, circondata dal deserto di Atacama, ospita oltre 700 lavoratori - dai dirigenti italiani agli operai locali - impegnati nella centrale. La maggioranza dei 330 residenti di Ollague si dedica con fatica ad agricoltura e allevamento di qualche vigogna. Ma Francisca da un anno gestisce una sua attività commerciale, in società con l'amica Marta Cruz Soliz (si danno il cambio ogni 15 giorni): un chiosco di alimentari dentro il campo, dove vende bibite, scatolame, sigarette, cibarie.

Non si può comprendere fino in fondo cosa sono venuti a fare gli uomini di Enel Green Power in questo angolo dell'emisfero sud fatto di deserto, vulcani, saline e geyser se non si tiene conto dei nuovi equilibri economici, ambientali e sociali nati dall'integrazione tra l'ingegneria geotermica più avanzata e le sei comunità indigene - popolazioni Quechua e Atacameños - che in questa zona del Cile hanno l'ultima parola sull'utilizzo del loro territorio nativo.

Da qualche settimana è attiva, ai 4.500 metri sopra il livello del mare del Cerro Pabellón (25 chilometri a nord del campo), la prima centrale geotermica dell'intero SudAmerica e la più alta al mondo di dimensioni industriali (48 Mw). Orgoglio Enel per tanti motivi, come ci dice Francesco Starace, l'ad del gruppo: «Siamo molto contenti di questo impianto che vanta una serie di record incredibili. E che è stato estremamente complicato da costruire perché lavorare a 4.500 metri richiede un certo tipo di organizzazione. E poi ha beneficiato di un approccio proattivo alla popolazione».

L'impianto adotta la tecnologia a «ciclo binario ad alta entalpia». In estrema sintesi funziona così: individuato il giacimento sotterraneo di acqua ad elevata temperatura (260 gradi), attraverso il pozzo di produzione la si fa salire, per poi azionare la turbina con il vapore generato; il quale viene successivamente ritrasformato in liquido e restituito, attraverso un bacino di re-iniezione, nel pozzo originale. Un sistema, quindi, completamente rinnovabile che sfrutta il calore delle rocce incandescenti sotterranee attraverso il veicolo acqua-vapore. Tecnologia made in Enel Green Power, la divisione delle energie rinnovabili guidata da Antonello Cammisecra. E siccome anche per il campo base serviva energia (non c'è la rete nel deserto), l'intero progetto è stato reso pulito con la prima microrete mondiale «plug and play»: un impianto fotovoltaico solare, che Enel ha sviluppato con il sostegno di Eps, con due sistemi di accumulo a base di idrogeno e di ioni di litio. In pratica il sistema fornisce al campo base tutta l'energia necessaria alternando l'energia solare diretta a quella fornita dalle batterie a seconda dei momenti della giornata.

Ma Cerro Pabellón, come si capisce dal dialetto parlato quassù, è l'ultimo risultato di un'esplorazione centenaria in queste terre: i tecnici italiani parlano tutti toscano. Anzi, un pisano misto con l'alta Maremma. Gente come Guido Cappetti, oggi general manager di Geotermica del Norte: una vita passata a cercare la geotermia nei posti più strani del mondo, è considerato dai suoi il «visionario» che ha creduto e reso possibile quest'opera. E altri, come Simone Villani, responsabile Enel Green Power dello start up della centrale, che tre anni fa si è proposto come volontario per venire a vivere quassù. Sono l'avanguardia contemporanea della «scuola di Larderello», il paesino pisano dove il calore geotermico è sfruttato da 120 anni e da dove agli inizi del secolo scorso sono partiti per l'Atacama i primi ingegneri per fare le perforazioni a dorso di mulo: avevano già capito tutto quello che poi è stato messo in pratica nel 2005 da Enel Green Power, che ha acquisito le concessioni e iniziato le esplorazioni. Il risultato è, oggi, la generazione pulita di 340 Gwh l'anno, pari al fabbisogno di 165mila famiglie. Il progetto include anche una linea di trasmissione ad alta tensione che collega la centrale alla rete nazionale: 80 chilometri nei territori delle comunità indigene.

Ed è stato nella fase di progettazione della rete e della centrale che, con le comunità, Enel ha avviato un «tavolo di dialogo» per la sostenibilità ambientale e sociale, già dal 2014, con il governo cileno a fare da garante. Il processo si è chiuso nel luglio 2015 con un accordo bilaterale con ciascuna delle sei comunità. Il risultato, oltre al chiosco di Francisca e Marta, è stata la nascita di altre sei piccole imprese che forniscono servizi di pulizia, trasporto, lavanderia, con 40 posti di lavoro, per un giro di affari di un milione di dollari in soli due anni.

Ed Enel è entrata anche nei villaggi mai raggiunti prima dall'energia: a Toconce, un centinaio di abitanti, è in corso un programma di elettrificazione rurale attraverso l'istallazione nelle case di «kit fotovotaici off grid» (quindi non connessi alla rete e dotati di batterie agli ioni di litio), che per la prima volta permettono l'accesso all'elettricità alla totalità delle famiglie, per tutto l'arco delle 24 ore. Così che a Toconce hanno cominciato ad arrivare i primi frigoriferi. Nel 2017.

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