Chip, i gruppi dell'auto hanno sbagliato quasi tutto

Lo studio di Bain & Co: errori sugli ordini. Ritorno alla normalità solo nel terzo trimestre 2022

Chip, i gruppi dell'auto hanno sbagliato quasi tutto

Sono mesi che si parla, per il settore dell'auto, di tempesta perfetta tra carenza di chip, rincaro delle materie prime, disorientamento dei consumatori che preferiscono rimandare l'acquisto della vettura, apparente immobilità del governo in tema di incentivi e sostegni alla riconversione produttiva, e preoccupazione dei concessionari per il nuovo corso penalizzante dei rapporti con le Case di riferimento. Insomma, una situazione che sta per portare le immatricolazioni in Italia del 2021 a poco meno di 1,5 milioni di unità, livello da allarme rosso fuoco.

Bain & Company ha presentato uno studio che analizza due temi in particolare: la crisi dei chip e il caro materie prime. Innanzitutto, viene sottolineato come la filiera di produzione dei chip (in un solo veicolo ne servono fino a 3mila) sia focalizzata in poche aree del mondo, in particolare per la fase finale di assemblaggio e produzione: Cina, Taiwan, Corea del Sud e Giappone. All'interno di questo scenario, il gruppo Tsmc è il dominatore assoluto di questa tecnologia. Lo studio, però, rileva alcuni fatti che fanno riflettere: il peso del settore automotive nel fatturato di Tsmc, oltre a essere in calo, è poco rilevante. E questo ha inciso nei piani di allocazione della nuova capacità produttiva. Il comparto delle quattro ruote non è poi riuscito a intercettare il momento in cui, tra il secondo e il terzo trimestre del 2020, l'industria dei chip stava aumentando gli ordini. Un errore strategico costato caro: chiusure di fabbriche, produzione limitata (oltre 1,3 milioni di vetture in meno nel primo trimestre 2021), almeno 60 miliardi di dollari l'impatto sui ricavi dei gruppi.

Bain & Company stima un ritorno alla «normalità» solo nel terzo trimestre del 2022, con circa 10 milioni di veicoli nel frattempo non prodotti. Tanti, dunque, i rischi legati al modello di business del settore: inventario ridotto per gestire eventuali fluttuazioni, scarsa visibilità su catena di fornitura e tempistiche, poca leva per spingere su una maggiore flessibilità dei volumi. In pratica, la mancanza di lungimiranza dell'industria automotive ha fatto sì che la crescente domanda di prodotti hi-tech, complici i lockdown indotti dal Covid, ha portato alla saturazione della capacità produttiva di chip. Gli stessi chip che, con il crescente utilizzo, sui veicoli, dei sistemi di assistenza alla guida e l'aumento della domanda relativa all'elettrificazione, vedranno il loro valore impennarsi. Per gli operatori del settore è dunque fondamentale realizzare catene di approvvigionamento più flessibili, «ripensando - evidenzia Gianluca Di Loreto, Partner di Bain & Company, che ha presentato lo studio - paradigmi consolidati». Centrale il ruolo dei governi.

Quanto all'aumento dei prezzi delle materie prime per la carenza di forniture causate dal virus, l'automotive è il comparto più colpito: da gennaio 2019 +60% il rame e +180% il ferro. Aumenti a doppia e tripla cifra, poi, per le terre rare e i minerali di primaria importanza per la mobilità elettrificata: cobalto, litio, nickel, grafite e manganese.

Usa, Cile e Congo sono i primi Paesi per l'estrazione di questi minerali, mentre la Cina quello per la loro lavorazione. «La domanda in crescita - dice Di Loreto - manterrà i prezzi delle materie prime ancora elevati nel prossimo futuro».

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