La lunga marcia, non in senso maoista, si è conclusa: 36 anni dopo la svolta impressa da Den Xiaoping con la transizione dall'economia pianificata a quella di mercato, la Cina torna ad affermare la propria supremazia commerciale. Su tutti, Stati Uniti compresi. È un sorpasso storico, che neppure l'onda alta della liquidità garantita dalla Federal Reserve ha potuto impedire, corroborato da cifre che riportano indietro le lancette della storia, quando l'Impero Celeste era il dominus mondiale.
I dati diffusi ieri dal governo di Pechino sono il riflesso di un Paese che continua a correre. E a far affari. Ovunque. Non più solo sinonimo di prodotti cheap, il made in China si afferma continuamente, mentre al tempo stesso si consolida la tendenza che vede il Dragone diventare il principale partner commerciale per molti Paesi. Il risultato? Questo: la somma del valore dei beni importati (1.950 miliardi di dollari) ed esportati (2.210 miliardi) dalla Cina nel 2013 ha raggiunto i 4.160 miliardi di dollari, il 7,6% in più dell'anno prima. Una cifra, ben oltre due volte il Pil dell'Italia, che gli Usa non riusciranno a eguagliare quando, il prossimo febbraio, uscirà il bilancio dello scorso anno. Troppo forte lo scarto tra il risultato cinese e i 3.570 miliardi realizzati fino a novembre dall'America. Un'umiliazione per Washington, forse però più preoccupata dal deludente trend del mercato del lavoro (appena 74mila nuovi posti creati in dicembre, anche se la disoccupazione è scesa al 6,7%).
In realtà, più che di un sorpasso trattasi di controsorpasso. Ancor più sorprendente se solo si pensa in quale baratro di miseria e di fame nera (milioni di vittime durante la Grande carestia 1958-1961) era sprofondato il Paese durante la dittatura di Mao. Ma prima di allora, e per secoli, l'economia era stata prospera, seppur in un continuo oscillare tra cadute, causate dalle spinte a isolarsi dal resto del mondo, e successive resurrezioni. Il commercio fa parte del Dna cinese: già a partire dal 1100, i suoi mercanti erano sparsi per la maggior parte dell'Asia, il Medio Oriente e l'Europa per vendere raffinate porcellane, seta lavorata e il the. Inoltre, fino al XVIII secolo la produttività agricola superava quella dell'Occidente. Ad inizio Ottocento, durante l'infinita dinastia Qing (1644-1912), quella dell'ultimo Imperatore, la bilancia del commercio fra potenze europee e Cina, pendeva dalla parte di Pechino di circa sei volte.
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