Lì, alla Procura di Asti, non hanno mai smesso di scavare. Anche dopo aver preso al laccio la preda principale, quel Marco Marenco famoso per essere stato a suo tempo il patron di Borsalino prima della condanna, nel 2016, a cinque anni di carcere per bancarotta fraudolenta in seguito al fallimento della sua galassia di società di import-export nei settori del gas naturale e della produzione di energia elettrica. Ma con la condanna, il caso non era ancora chiuso. Restavano ancora tante cose da capire. E scoprire. È ciò che hanno fatto magistrati e Guardia di Finanza al termine delle indagini, chiuse ieri, che hanno portato alla denuncia di 51 persone e alla constatazione di condotte distrattive per 1 miliardo e 130 milioni di euro e al sequestro preventivo di beni per 107 milioni. Ma, soprattutto, con l'accertamento che il crac ammonta a ben quattro miliardi. Solo Calisto Tanzi, con la spericolata gestione di Parmalat, aveva fatto peggio lasciando un buco da 14 miliardi.
I capi di imputazione sono pesantissimi: vanno dalla dichiarazione fiscale infedele all'omesso versamento delle imposte; dalla sottrazione al pagamento delle accise alla truffa aggravata; dall'appropriazione indebita alle false comunicazioni sociali, fino alla bancarotta fraudolenta aggravata ai danni di 12 società del gruppo. La gravità degli illeciti contestati è commisurata al ruolo che i 51, tra cui professionisti, amministratori, manager ma anche pubblici ufficiali, hanno svolto - secondo gli inquirenti - sotto la regia di Marenco in un vorticoso passaggio di denari stornati alle aziende e fatti poi affluire in paradisi fiscali. In pratica, il sistema si reggeva su uno schema ripetuto più volte: le attività imprenditoriali delle società nel frattempo indebitate o fallite venivano proseguite da nuove aziende, appositamente costituite e intestate ad amministratori e manager vicini all'imprenditore. Queste ultime, vere e proprie scialuppe di salvataggio, erano a loro volta controllate da numerose società estere che, come scatole cinesi, componevano il sistema di frode. Di fatto, spiegano gli inquirenti, «il denaro, le partecipazioni e i beni sottratti venivano impiegati in operazioni infragruppo e successivamente trasferiti all'estero, mediante compravendite fittizie».
Il lavoro investigativo ha consentito di far luce su una galassia composta da almeno 190 società. Una ragnatela, quindi, non facile da ricostruire. Le Fiamme Gialle hanno infatti dovuto scandagliare ben oltre il territorio astigiano per individuare le società estere coinvolte. Fino al punto di doversi avvalere dell'attività di cooperazione internazionale con numerosi Paesi esteri, comprese le Isole Vergini Britanniche, l'Isola di Man, Panama, Malta, Cipro, Liechtenstein e Lussemburgo. Indagini rese oltremodo complicate dagli accorgimenti usati per impedire che venissero scoperte le trame truffaldine.
Come, per esempio, l'uso di telefoni criptati, oppure le soffiate che arrivavano da alcuni pubblici ufficiali (indagati ora per corruzione, favoreggiamento e accesso abusivo a sistemi informatici) per garantire a Marenco e ai propri familiari servizi di sicurezza, oltreché il reperimento di notizie sullo stato delle indagini.
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