Dai tedeschi un altro «nein» a Draghi

Lautenschlaeger (Bundesbank): «Nessun beneficio dall'acquisto di titoli di Stato, solo costi aggiuntivi»

Sarà il petrolio il vero convitato di pietra della riunione di giovedì prossimo della Bce. Il recente crollo delle quotazioni, scese venerdì a poco più di 66 dollari il barile dopo la decisione dell'Opec di non tagliare la produzione, avrà un potere di congelamento dei prezzi tale da trascinare l'Eurozona, entro breve, nella deflazione. Paradossalmente, il greggio in picchiata è dunque il miglior alleato di Mario Draghi, costituendo una robusta stampella a sostegno dell'urgenza di varare in fretta il quantitative easing in salsa europea.

Da quando, nell'agosto scorso a Jackson Hole, ha deciso di aprire all'acquisto di bond sovrani, il presidente dell'Eurotower ha cominciato a contare amici e nemici nel board. Ma quella «maggioranza confortevole» (locuzione usata dallo stesso Draghi) che in settembre aveva permesso di approvare l'acquisto di Abs, potrebbe anche sgretolarsi al momento di mettere ai voti l'adozione del Qe. Il fuoco di sbarramento tedesco nei confronti di misure giudicate estreme si è intensificato nell'ultimo mese, quasi a segnalare una resa dei conti imminente. Così, le parole pronunciate ieri da Sabine Lautenschlaeger, l'unica donna che fa parte del direttivo, suonano solo come una leggera variazione sul tema orchestrato dal capo della Bundesbank, Jens Weidmann: «Una stima dei costi e benefici, delle opportunità e dei rischi di un ampio programma di acquisti non dà un esito positivo al momento». Un altro nein , secco e chiaro. E anche il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, sembra prendere le distanze dal bazooka : «La politica monetaria in molte regioni europee sta perdendo efficacia, e il rischio di una bolla può minacciare la ripresa economica».

«Draghi ha bisogno di sostegno nell'Eurozona sul quantitative easing», ha affermato ieri il Financial Times in un editoriale, aggiungendo che «gli scettici ortodossi guidati dalla Germania dovrebbero dare il proprio supporto al presidente della Bce». Difficile che accada. L'intenzione di coagulare il maggior consenso possibile attorno allo shopping di titoli di Stato (e non solo) potrebbe quindi indurre Draghi a chiudere la riunione di giovedì con un nulla di fatto, ma offrendo magari qualche indicazione in più sui perimetri del possibile intervento. Del resto, il tempo per allargare la ragnatela delle alleanze non gli manca: il vertice dell'istituto tornerà a sedersi attorno allo stesso tavolo solo il 22 gennaio, e non all'inizio del mese come da tradizione, per effetto del nuovo calendario che fissa le riunioni ogni sei settimane. Ciò permetterà, tra l'altro, all'ex governatore di Bankitalia di verificare con maggiore precisione quale impatto economico hanno avuto le ultime misure implementate (Tltro alle banche e Abs).

Ma, soprattutto, in assenza di una ripresa sostenuta delle quotazioni del petrolio, Eurolandia sarà ufficialmente scivolata in deflazione: a quel punto, la Buba - che ha sempre considerato transitorio il fenomeno deflazionistico - finirebbe spalle al muro. E Draghi potrebbe chiudere la partita.

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